L’isola delle rose nel progetto d’artista di Silvia Camporesi
Prima che il film con Elio Germano facesse conoscere al grande pubblico la storia dell’isola delle rose, Silvia Camporesi si è ispirata al progetto visionario dell’ingegner Giorgio Rosa per realizzarne una versione in miniatura.
UBICAZIONE: lat. 44°10’48” Nord-long. 12°37’00” Est (nel Mare Adriatico, 6,75 miglia al largo di Rimini).
CARATTERISTICHE FISICHE: isola artificiale di cemento e acciaio posta su nove piloni.
SUPERFICIE: mq 360.
POPOLAZIONE: nella fase iniziale: abitanti 3 (di cui 2 con residenza a Bologna).
GOVERNO: repubblica, con un presidente coadiuvato da cinque capidipartimento, più vari capidivisione e consiglieri.
LINGUA UFFICIALE: esperanto.
STEMMA: tre rose rosse con gambo verde in campo bianco.
BANDIERA: arancione, con stemma al centro.
INNO NAZIONALE: Steuermann! Las die Watch di Wagner
MONETA: il “Ros” pari a 1000 “mills” (i mill = 1 lira); ammesso e tollerato l’uso della moneta italiana.
RISORSE MINERARIE: nel sottosuolo dell’isola è stata individuata una falda di acqua dolce, parzialmente sfruttata.
RISORSE ECONOMICHE: turismo; vendita di cartoline e souvenir; pesca; coltivazione di mitili. Assente l’industria pesante. In previsione l’apertura di un casinò (secondo voci di malpensanti).
STORIA: costruzione iniziata nel luglio 1964 e ultimata, nelle parti essenziali, nel giugno 1968. Occupata militarmente dall’Italia dal 25 giugno 1968. Nel gennaio-febbraio 1969, novella Cartagine, è stata completamente smantellata da reparti specializzati delle FF.AA. italiane. Il Governo ha preso la via dell’esilio (in Svizzera).
SERVIZI POSTALI: il 9 giugno 1968 è stato emesso un francobollo; in attesa del debito riconoscimento dell’UPU, ha avuto corso all’interno dell’isola e per il trasporto sino alla terraferma.
Oggi, digitando “isola delle rose” su un qualsiasi motore di ricerca, emergono innumerevoli risultati, grazie al fatto che la storia di questa isola artificiale è diventata nota recentemente grazie a un film, ma quando ho iniziato a interessarmi a questa storia, alcuni anni fa, tutto quel che avevo accumulato era una serie scarna di informazioni e un plico di francobolli comprati per curiosità a una fiera di filatelia. Nel plico c’è un francobollo del ’68 che riproduce la forma stilizzata dell’isola da cui partono quattro linee che convergono su una mappa dell’Italia, precisamente nel tratto di mare dove era collocata. Un altro francobollo, emesso l’anno successivo, rappresenta l’isola nel momento dell’esplosione.
Di questa storia mi colpisce la follia. Di come certe utopie, anche se per poco tempo, riescano a vivere, e non è un caso che questa vicenda appartenga agli anni più rivoluzionari e immaginifici del Novecento. Mi colpisce la forzatura del paesaggio attraverso l’impresa di urbanizzazione del mare, che nasce da una maestosa idea di libertà. E mi cattura la storia di Giorgio Rosa, ingegnere sognatore, eccentrico sostenitore di un’impresa che da impossibile diviene reale, un uomo stravagante che freme per l’ansia di inseguire una chimera e vi si perde, mostrando forze e debolezze.
Ho visto le immagini di alcuni sommozzatori che nel 2009 hanno ritrovato i resti dell’isola a dodici metri di profondità: tutto quel che il fondale marino conserva di questa vicenda.
Sono stata a Torre Pedrera a guardare l’orizzonte sul mare cercando di immaginare l’isola, quando c’era.
Passeggiando per la chiassosa riviera romagnola e volgendo lo sguardo al mare è difficile oggi immaginare quel luogo portatore dei valori di indipendenza e libertà, fondato sulle intenzioni di una qualsiasi altra nazione, ma in una dimensione microscopica, un luogo in cui gli abitanti coincidevano con i membri del governo.
Ho raccolto tutto il materiale dell’epoca, cartoline e immagini scattate da differenti punti di vista. Mi sono fatta un’idea di come doveva essere e ho prodotto una mia versione dell’isola, fatta di segmenti di legno, in miniatura, immersa in una mare finto, perché avrei voluto esserci, avrei voluto vederla dal vivo, raggiungerla, comprenderla e forse alla fine abbandonarla.
‒ Silvia Camporesi
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