Dietro il paesaggio. Lulù Nuti e Delfina Scarpa a Roma
Doppia personale di Lulù Nuti e Delfina Scarpa alla galleria Alessandra Bonomo di Roma. Un’occasione per svolgere lo sguardo sul paesaggio.
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Legate dal filo sottile della flagranza cromatica – ora puntualmente squillante in Scarpa, ora posta come gesto che prevede prelievo e strappo in Nuti – la doppia personale di Lulù Nuti e Delfina Scarpa organizzata alla galleria Alessandra Bonomo e curata da Teodora di Robilant è un itinerario nel paesaggio (umano, metropolitano, campestre, acquatico) che invita lo spettatore a porsi dentro un dispositivo e a mettersi all’ascolto per assorbire sollecitazioni ed essere allarmati sulle problematiche scottanti del nostro perduto mondo. Bilanciata nei contenuti e nell’utilizzo dei procedimenti linguistici (Scarpa predilige la pittura, Nuti la scultura e l’installazione), la mostra si apre con due scene che evocano il notturno e il mattutino e lascia immediatamente comprendere una sorta di sorellanza, una complicità nella plastica interna del tessuto espositivo.
LE OPERE DI NUTI E SCARPA
Evocative ed emotivamente coinvolgenti, le tele di Delfina Scarpa – davvero elegante il Senza titolo (Sempre Ninfa, il luogo a me caro) del 2021 – sembrano raccontare e ricordare, lasciare sulla tela assieme al colore tracce mnestiche, bave di tempo che si sottrae al tempo per farsi immagine boschiva (a volte anche con un certo qual taglio fotografico): “Scarpa compone degli universi onirici iridescenti che si sviluppano intorno al concetto di luce e buio”, racconta la curatrice, “sono paesaggi multicentrici che emergono intorno a fonti di luce e prendono diverse forme”. Dall’altro versante espositivo il percorso mostrato da Lulù Nuti – quel Calco del mondo in una parte (Luna) del 2020 è davvero magnetico – si nutre di un armamentario teorico che fa i conti con l’ecosferico e si dispiega nella polarità di uno statuto grammaticale che ammette lo scarto e lo scollamento, l’allontanamento da certe rigidità della scultura e la presa diretta del “reale” per mezzo di regolati e casuali strappi di pelle alla superficie del mondo (molto eleganti anche i lavori presentati nella doppia personale con Alessandro Giannì allo Spazio Mensa di Roma) diviso, aperto, metamorfosato in guscio conchigliforme. La scoria o l’errore come ripensamento e rimodul-azione e spostamento ottico diventano centrali in una sua installazione (Mari, 2020-21) che si trova al centro della galleria, dove sono presenti una serie di aste – l’asta della bandiera, capovolta, avvitata in alto e dunque non picchettata, indica un ribaltamento del concetto di conquista, uno spostamento sul piano del prendersi cura dei luoghi per prendersi cura di sé – su cui si avviluppano fluide incrostazioni cementizie, resti di metaforiche bandiere che sembrano fluttuare in una zona paludosa e rendono positivamente incerti i confini tra noi e l’opera.
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Dettaglio di un’opera di Delfina Scarpa. Photo credits Simon Dexea
L’UOMO E LA NATURA
È questa la prima o l’ultima notte sul nostro pianeta? Il punto di domanda (il titolo della mostra) sembra toccare un po’ tutti (artiste e curatrice in primis) per dar luogo a un dispositivo ecosofico, volendo utilizzare la felice etichetta di Arne Næss, in cui l’uomo e la sua relazione con la terra volge sempre verso nuovi orizzonti, nuovi oroscopi forse anche più preoccupanti di prima.
‒ Antonello Tolve
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
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