Apparizione e scomparsa della forma. Paolo Parisi a Milano
Dipinti, fotografie, sculture compongono la personale di Paolo Parisi alla galleria Building di Milano: un percorso tra apparizione e scomparsa della forma di segno ambiguo, via via evocativo o razionale.
Le opere di Paolo Parisi (Catania, 1965; vive a Firenze) raccolte nella sua personale da Building attirano l’occhio ma poi si sottraggono allo sguardo: rifiutano in parte l’interpretazione. Il loro meccanismo è quello dell’obliterazione della forma e dell’immagine e della loro schermatura.
La mostra si apre con un ciclo di dipinti astratti/geometrici, nei quali gli strati di colore simulano la consistenza del tessuto. Finisce per vincere la copertura, il peso dell’accumulo di colore: la geometria si sviluppa su piani diversi ma l’ultimo tocco, quello più vicino allo spettatore, occlude la visione di ciò che si trova sotto. Subito dopo viene offerta l’apertura di diverse forme espressive e riferimenti a elementi del mondo reale, esterni alla pittura. Prima sculture che hanno la forma di modellini di edifici (o di una città ideale?), poi un video che presenta in successione una miriade di fotografie, serie di appunti visivi quotidiani che danno accesso all’esperienza diretta dell’artista.
REALTÀ E STILIZZAZIONE SECONDO PAOLO PARISI
Molte delle immagini proiettate sono scorci di mostre oppure manifesti di esposizioni. A tratti torna l’obliterazione che si trova nei dipinti, ovvero una macchia di colore che occulta parzialmente la visione. E si innesca il dubbio che la placida successione di momenti quotidiani nasconda invece (più o meno volontariamente) la denuncia della sempre crescente diffusione dell’industria culturale di massa: non l’opera, ma tutto ciò che le gravita attorno.
Cambio di atmosfera al piano superiore, dove il confronto tra mondo reale e stilizzazione si fa serrato e dialettico. I grandi teli che pendono al centro della stanza affiancano immagini naturali a motivi grafici (ancora un’obliterazione dell’immagine).
RIUMANIZZARE L’IMMAGINE
Le coppie di elementi alle pareti sono invece costituite da una foto libera e ariosa nel ritrarre scenari naturali e suggestivi (anche se non manca la malinconia) e da un tocco di colore che occulta la possibilità stessa dell’immagine. Gli altri dipinti in mostra, infine, non simulano la trama del tessuto ma la pixelatura, che è ormai il nostro orizzonte invisibile quotidiano. La stratificazione di colore copre qui la pixelatura stessa, invocando un tocco di riumanizzazione.
È un tragitto di aggiunte e sottrazioni, quello proposto dalla mostra. Un percorso alternato tra la manifestazione conclamata di immagine e forma e la loro scomparsa. Rimane ambiguo il segno di questa tendenza alla sparizione, benefica oppure negativa, semplicemente evocativa oppure da intendersi come elemento critico.
‒ Stefano Castelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati