La casa come Wunderkammer. Il racconto del progetto “Abbi cura di te”
Lo scorso anno, durante la pandemia, le curatrici Giulia Mura e Maddalena D’Alfonso hanno dato vita a un progetto che ha aperto virtualmente le case di architetti e museografi, concependole così come musei o luoghi che custodiscono tesori. Qui l'intervista
Una delle più grandi sfide imposte da questa pandemia è stata, senza dubbio, cambiare il nostro quotidiano, le nostre abitudini, in un’atmosfera di costante sospensione, in perenne attesa dello sparo, in fila sulla linea di partenza, pronti allo scatto. Il mondo dell’arte, che ha cercato di dialogare con noi in ogni modo nell’anno intercorso, e che in alcuni paesi si accinge a riaprire i battenti delle principali istituzioni culturali, ha visto nascere numerosi progetti autonomi, che spontaneamente hanno cercato nella partecipazione comune l’antidoto all’annichilimento. Uno di questi lo abbiamo seguito sin dai suoi esordi, Abbi cura di te, nato dalla volontà delle curatrici Giulia Mura (Superficial Studio, Roma) e Maddalena d’Alfonso (Md’A Agency, Milano) di stimolare la creatività della comunità di architetti e museografi, di cui loro stesse fanno parte, spingendo tutti i contributors a realizzare e donare un piccolo progetto di esposizione domestica.
ASPETTATIVE E REALTÀ. IL PROGETTO ABBI CURA DI TE
“Non pensavo che sarebbe durato così tanto”: quanti, soprattutto tra i lavoratori del mondo dell’arte e dello spettacolo che ancora oggi vivono l’incertezza delle prospettive di riapertura, hanno pronunciato queste parole? Con lo stesso spirito, ci spiega Maddalena d’Alfonso, le esposizioni domestiche di Abbi cura di te, circa sessanta, hanno subito un’inaspettata svolta contenutistica: “c’è stato un cambiamento sia di processo che di obiettivi finali. In tutto il mondo si è vissuta una sospensione a 360° delle attività culturali. Per evitare di sospendere noi stessi ed il dialogo basato sulle proprie passioni, tra persone inizialmente dello stesso ambito, in un momento in cui l’incontro casuale non era possibile, abbiamo offerto un punto di incontro comune. Oggi il mondo della cultura è ancora in stallo, con nostra grande sorpresa, e al primo nucleo di contributi forti dello spirito di reazione, ha seguito una reazione a catena con la diffusione del progetto che ha avvicinato persone nuove”. Non solo nel paradigma si è affrontato il cambiamento, infatti “l’obiettivo”, continua Maddalena, “non è solo quello di realizzare una mostra con i contenuti dell’urgenza creativa del periodo del lockdown, mosso dalla tragedia della pandemia, ma raccogliere in un archivio visivo dell’evoluzione dei progetti verso temi dell’umano e le personali riflessioni su di esso”.
ABBI CURA DI TE. TRE STAGIONI, UNA GRANDE MAPPATURA DEL PENSIERO
Un progetto resiliente rispetto al suo contesto, un mosaico, come lo ha definito Giulia Mura, di risposte variegate non solo rispetto alla scelta dei 10 temi proposti dalle curatrici, ma proprio rispetto al proprio contesto intimo e domestico. “La risposta culturale in questi mesi”, sottolinea Giulia, “non è quasi mai arrivata dall’alto, ma è soprattutto sopraggiunta dal basso e questo ha fatto capire che l’arte non è così elitaria come spesso si pensa. In un contesto in cui si era privati di qualsiasi forma di intrattenimento intellettuale l’arte è stata una grande risorsa”. Da una condizione comune a tutti, la chiusura generale delle attività lavorative, ad una stabilizzazione delle nuove abitudini limitate, la mutazione della condizione sociale si ritrova anche nella scelta delle tematiche, nonché della tipologia, dei contributi inviati. “Da un primo momento di frastorno generale”, continua Giulia, “dopo l’estate le scenografie domestiche sono cambiate da rifugio a trasfigurazione alla Truman Show delle nostre vite. Oggi i lavori che stanno arrivando sono più maturi, meno istintivi, di persone che a distanza di tempo danno un contributo non dettato dall’urgenza o dal panico. Molto interessante è l’apertura internazionale ancora più forte che Abbi cura di te ha avuto con l’inclusione nel gruppo di Farah Piriye (curatrice indipendente che vive a Londra)”. “Nella prima stagione i lavori erano molto introspettivi, legati alla riflessione sul sé, mentre dalla seconda stagione in poi c’è stata un’apertura verso il fuori di sé, segnando un chiaro cambio di atmosfera”, continua d’Alfonso.A supportare le riflessioni finora espresse, le due agenzie hanno analizzato i dati sinora raccolti: nella prima stagione #imagination ha ampiamente superato #memory e #dream, al secondo posto sul “podio”. Con sorpresa delle curatrici stesse, nella seconda stagione #reality” ha prevalso su tutti, mentre la risposta alla terza stagione (che ufficialmente si chiuderà a giugno) è equanime, tra tutte le tematiche.
RIFLETTERE SULLE RIFLESSIONI
La tenacia delle curatrici è stato uno degli ingredienti fondamentali del progetto, e loro stesse sono già pronte ad aprire la quarta stagione con una parola chiave: l’inclusività. La mappatura degli operanti nel settore artistico e culturale ha visto nella terza stagione un’apertura verso tutti coloro che volessero trovare in questa forma d’arte la propria espressione. “Non siamo mai voluti diventare un progetto virale e l’elitismo del progetto nasceva dal fatto che la prima volontà era di metterci noi stesse in dialogo con gli addetti al settore culturale, che hanno di natura i campanelli d’allarme attivi sul sistema dell’arte, per sapere come stessero vivendo questo periodo, contesto storico e sociale”, spiega Giulia, “proprio perché pensavamo che avesse una durata nettamente più ristretta. Oggi ha senso immaginare una più ampia apertura, oltre a volerne realizzare una grande mostra, un grande catalogo…”. “Lo scopo dell’archivio”, specifica Maddalena, “è quello di tracciare, a seguito di questa mappatura, una possibile via indicata dalle risposte visualizzate dai progetti di mostra personali. Siamo in un momento di grande cambiamento, inclusività, transizione verso la sostenibilità, digitalizzazione e maggiore accessibilità del patrimonio culturale, tutte queste tematiche vengono affrontate a livello istituzionale ma quest’osservatorio ci da una panoramica più vicina a noi, meno alta, nuova”. Cosa ha suscitato nelle curatrici questo progetto dalla sua nascita?Per Maddalena d’Alfonso gioia, “perché sentivo i pensieri dell’altra persona, che fosse oscuri o gioiosi, e mi ha fatto sentire grata e viva”.Per Giulia invece stupore, “perché molti progetti sono stati inaspettati nella loro delicatezza e nella loro oscurità ed empatia, perché in numerose occasioni abbiamo lavorato direttamente con i gli autori, entrando a contatto diretto e dialettico con le sensazioni che la mostra ha suscitato in loro. Tanto che qualcuno ha ammesso di non riuscire a concludere il progetto, per quanto appassionante, perché si trovava a vivere un momento di confusione troppo forte. Tutto questo ci ha toccate personalmente”.
– Flavia Chiavaroli
IG: @abbicuradite_2020
www.abbicuradite2020.com
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