NABA e Artribune insieme per una mostra in 4 parti. L’intervista a Marco Scotini
Si intitola “Blackout Book” ed è una mostra di fine corso della durata di quattro settimane. Una cinquantina di studenti di NABA, Nuova Accademia di Belle Arti si confrontano con i temi più urgenti del presente e lo fanno su Artribune. Selezionati da un comitato internazionale.
A partire dal 5 maggio, ogni mercoledì per quattro settimane, andrà online una puntata di Blackout Book. Non una mostra digitale o virtuale, ma una serie di immagini e opere realizzate dagli studenti di NABA a Milano e Roma, selezionate da un parterre di curatori internazionali. A coordinare il tutto, Marco Scotini, che abbiamo intervistato per inquadrare precisamente il progetto.
Qual è lo statement col quale presenteresti Blackout Book?
Blackout Book nasce dalla constatazione che da qualche parte si sia verificato un grave guasto alla luce. Ed essendo la luce il presupposto della visibilità, ecco che allora siamo rimasti all’oscuro per più di un anno. Questa interruzione l’abbiamo chiamata lockdown ma non si è trattato solo di un blocco della mobilità, di una chiusura forzata o di un confinamento. Diciamo pure che le azioni del nostro potere visivo sono crollate, nonostante il fatto che da un bel po’ avessero cominciato a decrescere in modo esponenziale. Come sempre succede – nel buio i contorni si perdono, le differenze non si distinguono, l’orizzonte scompare e tutto rischia di apparire uguale. Così, nel momento di progettare la mostra di fine anno per i corsi di Arti Visive e Studi Curatoriali di NABA, io e Andris Brinkmanis ci siamo interrogati se questo assunto non avesse potuto essere, piuttosto, il punto di partenza per una esposizione in condizioni di emergenza. Da qui nasce l’idea di mostra come un libro da sfogliare: nessun itinerario virtuale, nessun avatar né alcuna simulazione della fisicità. Giusto un archivio di immagini (più o meno giuste) raccolte a conclusione di quest’anno di grazia.
Chi è incluso in questo libro?
Vi hanno partecipato i giovani artisti del Triennio di Roma e gli artisti e i curatori del Triennio e del Biennio Specialistico di Milano. Ma c’è un ulteriore motivo che giustifica il nostro ricorso al formato-libro. Abbiamo voluto rendere omaggio a Nanni Balestrini che, nel 1980, aveva pubblicato quello straordinario poemetto in quattro parti dal titolo Blackout, accompagnato da frammenti di immagini. Si tratta di un’opera che figura tra i suoi lavori più intensi e suggella la fine forzata del decennio più creativo e sulfureo che le giovani generazioni italiane abbiano mai vissuto: gli Anni Settanta. È “un addio con il rock” e la improvvisa e precoce scomparsa di Demetrio Stratos. E gli anni sono quelli in cui i giovani volevano tutto e volevano pure cambiare tutto. Nanni Balestrini, a partire dal 2011, è stato per noi in NABA una sorta di visiting professor di eccezione, non solo per le lezioni che vi ha tenuto ma anche per altri importanti eventi a cui ha preso parte, come Theatre of Learning del 2015. Tra tutti questi episodi mi piace ricordarne uno in particolare, la giornata dedicata alla storia della rivista Alfabeta in cui Balestrini aveva invitato a partecipare Umberto Eco, Paolo Fabbri, Maurizio Ferraris e molti altri.
IL PROGETTO BLACKOUT BOOK
So che la risposta alla call da parte degli studenti è stata incredibilmente numerosa. Ritieni che, tra i fattori che la spiegano, ci sia anche il desiderio di confrontarsi, in un periodo storico in cui queste occasioni sono drasticamente diminuite a causa della chiusura degli spazi espositivi – dai maggiori musei fino ai più piccoli spazi non profit e artist run spaces?
Non si tratta solo della chiusura degli spazi fisici ma della volontà di trovare delle modalità di collaborazione e partecipazione corale. Non è un caso che, durante questo ultimo anno, sia nato, all’interno del biennio specialistico, Critical Studies Departement: una piattaforma di ricerca completamente autonoma e sorta per iniziativa degli studenti al tempo della pandemia. L’hanno concepita come spazio in-between, inclusivo e multiforme, come strumento di critica trasformativa e quale momento di scambio oltre le logiche scolastiche, punto di incontro tra il mondo accademico e l’esterno. Molti di questi studenti, con un profilo più curatoriale, hanno scritto i brevi testi che accompagnano Blackout Book e hanno collaborato al processo di produzione della mostra.
La giuria internazionale è stata composta, oltre che da te, da Pierre Bal-Blanc, Ana Dević, Carol Yinghua Lu & Liu Ding. Perché la scelta è ricaduta proprio su questi quattro nomi?
Come ho già accennato, il poema di Nanni Balestrini è in quattro parti (Trasformazione, Istigazione, Persecuzione, Inibizione) o in quattro movimenti (Allegro, Moderato, Minuetto, Rondò). Abbiamo voluto dunque mantenere la quadripartizione ma attraverso delle aree che da anni investighiamo nel nostro dipartimento in NABA come la memoria, l’archivio, il genere e l’ecologia. Poi abbiamo invitato a collaborare assieme a me, Pierre, Ana del gruppo curatoriale croato WHW e infine la coppia curatoriale di Pechino Carol Ynghua Lu & Liu Ding. Queste figure di fama internazionale fanno parte da un po’ di tempo della nostra faculty e hanno contribuito anche al recente libro Utopian Display. Geopolitiche curatoriali. Credo sia stata una opportunità interessante che abbiamo offerto ai nostri studenti con questa mostra. Anche se non parlerei tanto di giuria quanto di un comitato selezionatore in cui ciascun curatore risulterà responsabile della propria sezione che include oltre dieci studenti. Per un totale di quasi cinquanta studenti in Blackout Book.
NABA E LA FORMAZIONE
Qual è stato il loro feedback sulla qualità media delle proposte da parte degli studenti? In altre parole: iniziative come queste possono servire anche a valutare (e valutarsi) l’efficacia formativa di NABA?
Sono d’accordo e credo che questo sia stato uno degli elementi importanti del progetto: cosa pensa una prima audience internazionale di quello che stiamo sviluppando in NABA. Tra l’altro una audience che non si limita a giudicare ma che può intervenire direttamente, visto che si ritrova a operare all’interno di un determinato contesto e quindi può riorientarne scelte, pratiche e indirizzi teorici. Il feedback è stato molto positivo anche rispetto ai primi anni accademici del Triennio. Siamo molto soddisfatti del fatto che siano usciti dal nostro dipartimento figure come Ian Tweedy, Chiara Fumai, Danilo Correale, Alice Ronchi, Beto Shwafaty e molti altri. Neppure solo artisti né solo curatori ma differenti figure professionali che oggi sono fondamentali nel sistema dell’arte contemporanea.
NABA è recentemente, per il primo anno, entrata nella classifica dei migliori istituti d’alta formazione nel mondo. Se dovessi individuare uno e uno soltanto dei fattori che la rendono un centro di eccellenza, quale citeresti e perché?
Beh, non è davvero facile trovare un solo fattore che prevalga su tutti gli altri. Ma in rapporto al dipartimento di Arti Visive e Studi Curatoriali che dirigo, posso dire che una delle ragioni della qualità è che, anche dopo quarant’anni, NABA continua a essere Nuova Accademia. Nuova nel senso che riesce ad anticipare le tendenze in atto nella cultura artistica. I quattro ambiti di ricerca a cui prima facevo riferimento sono anni e anni che vengono investigati in NABA: archivio, geopolitica, arte e politica, genere, ecologia ecc. Oggi tutti ne parlano ma da improvvisati che seguono le mode, mentre a noi queste non interessano. Quando all’inizio del 2000 abbiamo cominciato con l’attività curatoriale, pochi sapevano cos’era. Oggi invece abbiamo cercato di de-occidentalizzare la nostra offerta culturale e non so quanti istituti di formazione in Italia (ma anche musei o fondazioni) si muovano in questa direzione.
‒ Giulia Ronchi
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