Damien Hirst colpisce ancora: la grande mostra a Roma
Non contento della poderosa mostra veneziana di quattro anni fa, Damien Hirst ci riprova e mette in scena un dialogo riuscito con la collezione della Galleria Borghese a Roma.
Dopo la visita alla mostra di Damien Hirst Treasures from the Wreck of the Unbelievable, allestita tra Palazzo Grassi e Punta della Dogana nella primavera del 2017, nessuno avrebbe potuto immaginare che un’esposizione di quelle dimensioni avrebbe avuto un sequel, come i film blockbuster tipo Lo squalo o Guerre Stellari. Ma la capacità visionaria e profetica di un artista che ha anticipato il crollo di Lehman Brothers e l’avvento delle fake news avrebbe dovuto metterci in guardia: anche le mostre concepite come one shot, nel secondo decennio del Ventunesimo secolo, sono finite. Così, in pieno svolgimento di una pandemia globale, quattro anni dopo è arrivata la seconda puntata: un sequel in grande stile in una cornice unica al mondo. Si tratta della Galleria Borghese, scrigno voluto dal cardinal nepote Scipione Caffarelli Borghese, collezionista senza scrupoli, capace di organizzare furti di capolavori inestimabili e imprigionare pittori troppo onesti pur di arricchire la propria avidità di possesso.
LA MOSTRA DI DAMIEN HIRST A ROMA
Curata da Anna Coliva e Mario Codognato, Archaeology now (qui tutte le informazioni per acquistare i biglietti) non è solo una mostra ma una lettura del presente attraverso lo sguardo scomodo e tagliente di Damien, sempre pronto a mostrarci, come Caravaggio quattro secoli prima di lui, i lati oscuri e problematici del nostro tempo. Se a Venezia Hirst aveva giocato la carta della meraviglia, sconfinando spesso nel territorio del kitsch, a Roma invece punta sul mimetismo, proponendo le sue opere come un ideale prolungamento della collezione Borghese, arrivando in alcune sale del piano terreno (come la Sala Egizia) a una simbiosi perfetta, ottenuta grazie a un allestimento esemplare, che rende difficile distinguere i suoi tesori da quelli del cardinale. Infatti alcune sculture della collezione Borghese si possono facilmente confondere con quelle di Hirst, mentre le vetrine dipinte in finto marmo, che custodiscono oggetti preziosi come Golden Monkey, Small Horse o Sacrificial Bowl rimandano alla retrospettiva dedicata a Luigi Valadier (2019), una delle mostre temporanee più riuscite nelle sale della Galleria Borghese.
DAMIEN HIRST E LA COLLEZIONE BORGHESE
Davvero inquietanti i due esemplari di Skull of Cyclops o il Museum Specimen of Nautilus Shell nella loggia di Lanfranco al primo piano, che ricordano i connubi tra naturalia e artificialia delle wunderkammer rinascimentali, capaci di stupire gli ospiti dei Gonzaga nel Palazzo Ducale di Mantova, tra coccodrilli impagliati e corna di narvalo, mentre A collection of weapons rimanda alle raccolte d’armi presenti in alcune case museo come il Poldi Pezzoli di Milano.
A Damien non sono sfuggiti nemmeno gli assi prospettici tipici delle dimore seicentesche, che ha riproposto collocando Extraordinarily Large Museum Specimen of Giant Clam Shell davanti al Ratto di Proserpina di Bernini, andando incontro al gusto audace e coraggioso di Scipione, che non temeva di mettere accanto a severi esempi di statuaria romana gli scandalosi dipinti di Caravaggio, rifiutati dai membri più retrivi del clero del primo Seicento.
DAMIEN HIRST E IL PASSATO
Pur con alcuni accostamenti meno riusciti, come i Five Grecian Nudes nella sala di Paolina o la serie dei Five Friends nella sala di Mariano Rossi, la mostra ci mette di fronte ad alcune problematiche difficili da evitare, sulle quali è opportuno riflettere: l’evoluzione del gusto, i possibili limiti del rapporto tra antico e contemporaneo, la possibilità che un museo d’arte antica possa essere trasformato ipso facto nell’opera di un artista vivente in grado di confrontarsi ad armi pari con la storia dell’arte, senza l’atteggiamento reverenziale presente nelle mostre di alcuni artisti viventi alla Borghese (Mat Collishaw (2014), Thomas Houseago (2013), Candida Höfer (2013)). In questo caso Hirst ha voluto misurarsi con Scipione sullo stesso piano, quasi per suggerirgli nell’ orecchio che si può combattere con il passato se si ha coraggio, visione e consapevolezza. E possiamo immaginare che il cardinale, strenuo difensore del giovane Merisi negli ambienti più conservatori della Roma barocca, avrebbe apprezzato le parole di Damien, che possiamo annoverare tra le personalità più lucide nello svelare le contraddizioni del nostro tempo. Non è un caso che l’artista abbia dichiarato in una recente intervista a La Repubblica: “Abbiamo bisogno del passato. Crediamo nel passato perché credere nel presente è più difficile, anche se ci tocca. L’idea che c’è dietro la serie di sculture e oggetti di ‘Treasures from the Wreck of the Unbelievable’ è proprio quella di rubare al passato per creare un nuovo presente, fondare l’illusione di una verità con una nuova mitologia”.
Per questo Hirst ha voluto intitolare la mostra alla Borghese Archaelogy now, come per lasciar intendere che oggi l’interesse per l’archeologia potrebbe essere letto come un modo per attaccarci al passato in un momento nel quale il futuro appare incerto e confuso. La risposta arriva da un altro visionario, Renzo Piano, che nel 1998 ha dichiarato: “Il passato è una costante tentazione. E tuttavia il futuro è l’unico posto dove possiamo andare, se davvero dobbiamo andare da qualche parte”.
‒ Ludovico Pratesi
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