Danae allo specchio. 19 artisti contemporanei a Treviso
Diciannove artisti under 45 si confrontano con la Danae rococò di Antonio Bellucci alla Fondazione Francesco Fabbri di Pieve di Soligo. Un’indagine ipercontemporanea sulla figura femminile, sull’uso e la proprietà del corpo, sul femminismo. Non da ultimo sulla pittura.
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Chi sarebbe Danae oggi? È (forse) questa la domanda da cui partire per capire il dialogo fra il dipinto di Antonio Bellucci e il lavoro, vario per presupposti ed esiti – seppur sempre pittorico – degli artisti contemporanei in mostra alla Fondazione Francesco Fabbri di Treviso. Forse sarebbe la vittima innocente di una violenza privata che molto spesso diventa pubblica, fra la voracità di una stampa indiscreta e il biasimo collettivo (“poteva coprirsi di più!”). O forse sarebbe un’attivista del movimento #MeToo, che ha fatto luce negli ultimi anni sulle violenze di un mondo ancora vittima del machismo e della strumentalizzazione del corpo femminile. O forse sarebbe una donna che rivendica la propria libertà sessuale.
DANAE E LA PITTURA
Da Rembrandt a Correggio, da Artemisia Gentileschi a Klimt, la figura di Danae è stata variamente rappresentata nella storia dell’arte, soprattutto dalla pittura. Ecco allora che per molti artisti il confronto con il Bellucci diventa occasione per esplorare il mezzo pittorico, per sondarne la capacità di parlare del presente con un lessico e una sintassi attuali. È il caso di Marta Spagnoli e Giulio Saverio Rossi, per i quali la pioggia dorata del mito è pretesto per giocare con il tratto, la trasparenza e le consistenze del colore. Oppure di Nebojša Despotović e Barbara De Vivi, sulle cui tele convergono narrazioni e piani temporali paralleli, sfidando (o amplificando forse) la simultaneità dell’immagine. O infine di Nicola Samorì che, attraverso una riflessione sull’affresco come tecnica “violenta”, in cui la superficie viene picconata per favorire l’ancoraggio degli strati di calce, fa coincidere Danae con la propria rappresentazione, mettendo in discussione la distinzione fra pittura e cosa dipinta.
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Zehra Doğan, Yekbûn (Unity), 2020, acrilico, carta dorata su tappeto. Courtesy Prometeo Gallery, Milano © gerdastudio
DANAE SONO IO
Nonostante il mito – scritto da uomini per uomini – racconti di una Danae accondiscendente, la vicenda avrebbe oggi tutto il sapore dello stupro. Il mito diventa dunque occasione per riflettere sulla percezione del corpo femminile, sul divario biologico e socioeconomico fra i generi, nonché sul problema del consenso. Zehra Doǧan, artista curda arrestata nel 2016 per aver espresso il proprio dissenso al regime di Erdoǧan, sdoppia la figura di Danae. Due donne, spogliate di ogni attributo femminile, si alleano nel dolore di una violenza condivisa per combattere l’assoggettamento di corpi e territori. Christian Fogarolli mostra il tessuto cerebrale di Danae attraverso immagini al microscopio incastonate in superfici specchianti su cui possiamo scorgere il nostro riflesso. Danae siamo noi, uniti da una prossimità biologica che va oltre il tempo e i generi. Giuseppe Gonella contrappone letteralmente al Bellucci una Danae pubblica e privata, disinibita e pudica, abbandonata e resistente insieme. Una dualità irriducibile attraverso cui viene rivendicata la libertà assoluta dagli stereotipi che vorrebbero ridurre le donne – e le persone – a corpi da possedere o a simulacri da venerare.
‒ Irene Bagnara
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