Quattro artisti nella tana del Bianconiglio. Scopriamo la Fondation Valmont di Venezia
Alice nel Paese delle Meraviglie è la fonte di ispirazione per i protagonisti della nuova mostra allestita a Palazzo Bonvincini, avamposto lagunare della Fondation Valmont guidata da Didier Guillon.
“Chi sei tu?”. Fra tutte le domande che Alice nel Paese delle Meraviglie ‒ fiaba ben lontana dai cliché infantili ‒ è capace di suscitare, questa è la più sottile e insistente. Lo sanno bene Francesca Giubilei e Luca Berta, curatori della nuova mostra allestita nella sede veneziana della Fondation Valmont – alla cui guida c’è Didier Guillon, patron dell’omonima azienda svizzera specializzata in cosmesi.
Alice in Doomedland riunisce le opere dello stesso Guillon e di Silvano Rubino, Isao & Stephanie Blake, invitati a misurarsi con la favola di Lewis Carroll nella terza tappa del ciclo espositivo a tema fiabesco.
LA MOSTRA A PALAZZO BONVICINI
A spiccare è proprio il nodo dell’identità, approfondito da Rubino nella sua installazione “multipla”, che chiama in causa pittura, video e linguaggio plastico per condensare in pochi metri quadrati una riflessione sull’io a cavallo tra razionalità e inconscio. Riflessione ampliata da Isao & Stephanie Blake, autori di un intervento a quattro mani tarato sull’ingombro, fisico, di un ego mutevole, che trova in Alice il suo esempio più lampante – chi non ricorda la sua crescita a dismisura dopo aver mangiato il fungo magico? – ma che è facilmente adattabile all’umanità tutta. E poi ci sono le gabbie in cartone di Guillon, metaforicamente riempite di simboli che rimandano al mito del tempo, della bellezza, della velocità – fardelli dei quali liberarsi insieme alle dittature di pensiero che essi rappresentano.
TRA FIABA E REALTÀ
Come sottolinea la curatrice Francesca Giubilei, l’obiettivo della mostra è spingere il pubblico a interagire con le sue dinamiche e con il sostrato concettuale da cui trae forma, accompagnando Alice in un viaggio di formazione echeggiato dagli input visivi, tattili e ambientali suggeriti dalle opere. Mondo fiabesco e stretta attualità non smettono di alternarsi fra le sale di Palazzo Bonvicini, come testimoniato dalla scelta di impiegare materiali altamente sostenibili e a ridotto impatto ambientale o dalla volontà di fronteggiare le difficoltà del tempo presente, coinvolgendo gli studenti di Publicolor – realtà educativa ideata da Guillon a New York, nel Bronx, per favorire l’integrazione dei più giovani attraverso il linguaggio creativo – in un lavoro a distanza che, a partire dalla favola di Alice, descrive con estrema chiarezza pregiudizi e condanne sociali. Da Alice in Doomedland emerge l’approccio di Guillon verso le potenzialità del gesto artistico e le sue ricadute sulla comunità che lo accoglie. Un approccio generoso, di cui abbiamo parlato con lui.
INTERVISTA A DIDIER GUILLON
Qual è stata la sfida alla base di una mostra che si ispira alle vicende di Alice, sia per il gruppo di artisti coinvolti – nel qual lei stesso è incluso – sia per il pubblico?
La sfida proposta agli artisti era di sviluppare un concept attorno al tema fornito senza perdere la loro “eredità”, ma ispirandosi a essa. Ad esempio Isao & Stephanie Blake, nella loro installazione, hanno utilizzato la ceramica, che ne rappresenta il retaggio. Per quanto mi riguarda, l’elemento che ha guidato la mia creazione è stata la gabbia – una delle mie fonti di ispirazione è il Minimalismo di Sol LeWitt. L’idea alla base degli interventi è scuotere il pubblico e invitarlo a sviluppare una propria percezione di ciò che gli viene proposto, a differenza di quanto accade nelle fiere, ad esempio, dove lo scopo è vedere il lavoro di un artista per acquistarlo.
La sua attività spazia dall’imprenditoria all’arte in senso stretto. Quali sono i suoi obiettivi?
Il mio tempo come business man si è concluso, ora è il tempo della creazione e della generosità. Quando organizziamo un evento, pensiamo sempre a come poter restituire ciò che abbiamo avuto. Lo facciamo lavorando con associazioni che perlopiù coinvolgono i bambini o collaborando con persone che non hanno la possibilità di vivere in condizioni agiate. Il mio obiettivo è trasmettere questi valori alle generazioni future attraverso la Fondazione. Senza generosità non si può essere felici.
Anche scegliere Venezia come città in cui creare uno spazio destinato alla ricerca artistica è stato un gesto generoso. Quali sono i motivi di questa decisione?
Io sono innamorato di Venezia da oltre vent’anni. Come imprenditore, ho usato la mia attitudine artistica per promuovere il brand Valmont, ma a un certo punto ho capito che il tempo del marketing era finito e che volevo realizzare qualcosa di più creativo, collaborando con altri artisti. Vorrei tentare di replicare, in scala più piccola, ciò che accadde all’inizio del Novecento a Parigi, dove artisti del calibro di Giacometti, Picasso, Braque furono responsabili dell’esplosione di creatività che tutti conosciamo. Gli artisti devono collaborare e quindi la mia idea era di curare queste dinamiche collaborative, ma dove? Non di certo in una grande città come Parigi, dove il contesto è molto stressante. Venezia era quindi la città più adatta ad accogliere la Fondazione e questa idea di collaborazione, che ha preso forma in Grecia – culla della civiltà – e poi si è spostata a Venezia, dove non abbiamo mai voluto competere con realtà come la Collezione Pinault o Prada, ma sviluppare qualcosa di agevole per gli artisti, anche in termini di spazi. Passo dopo passo, siamo arrivati all’acquisto di Palazzo Bonvicini. Il prossimo step sarà creare una residenza al terzo e quarto piano del palazzo e spero possa essere speciale.
Iniziative come questa possono contribuire a ripopolare Venezia e a consolidare l’idea che possa essere una città in cui vivere, soprattutto dopo lo sconvolgimento dei paradigmi abitativi e sociali dettato dalla pandemia.
Credo che un elemento importante da prendere in considerazione per il futuro sviluppo di Venezia sia la sostenibilità, senza però cadere nei cliché: a Venezia ci sono tutte le condizioni per un domani sostenibile, non bisogna inventare nulla, ma convincersi a fare il massimo per salvaguardare la città.
‒ Arianna Testino
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