Promiscuità e compassione. Silvia Argiolas in mostra a Bologna
La mostra di Silvia Argiolas da Adiacenze, a Bologna, celebra il ricordo di John Giorno ed è un abbraccio a tutti coloro che hanno vissuto un lutto.
È un omaggio a John Giorno (e alla sua poesia) la mostra Promiscuità e Compassione di Silvia Argiolas (Cagliari, 1977) presso Adiacenze a Bologna, a cura di Domenico Russo. Ma anche un momento di empatia per tutte le persone che hanno perso qualcuno, un canto antichissimo per tutti loro. Frutto di una residenza, come di consueto per lo spazio espositivo emiliano, ma anche delle riflessioni maturate nell’anno di isolamento che ha preceduto la preparazione, la mostra è un inno site specific alla vita.
LA MOSTRA DI ARGIOLAS A BOLOGNA
La Argiolas accoglie gli spettatori con opere su tela e su carta, con il suo immaginario sempre dirompente, sensuale, materico, spesso erotico. Ma c’è tanta intimità qui nell’ex laboratorio tessile che ospita lo spazio; c’è il rispecchiamento tra noi e gli altri che si traduce in un album privato di relazioni umane. E ci sono le persone e le cose che attraversano la vita e l’artista stessa nella quadreria di ritratti (e autoritratti) senza cornice che scorrono sulle pareti. Fino al monumentale Riempi quel che è vuoto, svuota quel che è pieno, tecnica mista su tela, trionfo dell’immaginario dell’artista che qui, senza tradire l’immediatezza del suo gesto, compie un esercizio di grande pittura, trascinando i suoi personaggi femminili, le sue grottesche, i suoi mostri e la natura beffarda in un tourbillon quasi tardo rinascimentale di colori lividi e sfumature in cui lo sguardo del riguardante si agita alla ricerca del punctum.
LE OPERE DI SILVIA ARGIOLAS
E di fatto non si sta mai sereni con l’Argiolas, che nella cisterna dello spazio porta nuovamente lo spettatore a confrontarsi con l’inquietudine sensuale del rapporto vita morte (che poi in fin dei conti affligge e dà il senso a tutta l’esistenza), costruendo un piccolo tempio indiano adornato da frasi ex voto, piume, colori, immagini e che contiene all’interno un santuario di maschere millenarie in cera, perline, anch’esse coloratissime, femminili, spaventose e al tempo stesso tenerissime. Sono volti sconosciuti e sfigurati, o personaggi del passato dell’artista. Sono “la famiglia”, a suo dire, che si è costruita intorno durante il lockdown. Sono totem di un tempo remoto e arcaico. Sono le facce della memoria.
– Santa Nastro
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