Oltre l’estetica minimalista. Una mostra collettiva a Milano fa il punto
DA CASSINA PROJECTS A MILANO LA COLLETTIVA “X_MINIMAL (ACROSS MINIMAL)”, CURATA DA FRIEDERIKE NYMPHIUS, RIFLETTE SUL SIGNIFICATO DEL TERMINE MINIMALISMO. NON SOLO UN’ESTETICA DI NEGAZIONE, PRIVAZIONE ED ESSENZIALITÀ DEI MEZZI IMPIEGATI, MA STRUMENTO DI DIBATTITO CRITICO.
Nel 1965 Donald Judd pubblicava Specific Objects, testo cardine per la comprensione di una metodologia di lavoro che di lì a poco divenne predominante in qualsiasi campo, non soltanto artistico. Dalla fine degli Anni Sessanta il termine “minimale” o “minimalismo”, spesso abusato e delimitato all’essenzialità dei media impiegati, si è caricato di significati filosofici, politici e sociali, in linea con i cambiamenti epocali degli ultimi cinquant’anni.
La collettiva X_minimal, curata da Friederike Nymphius nella sede di Cassina Projects a Milano, porta alla luce questa complessità, andando oltre la mera estetica minimalista. La ricca selezione di opere è il risultato di interpretazioni personali che ogni artista ha avuto modo di sviluppare nel corso della propria carriera. Riprendendo il pensiero del critico americano James Meyer, il quale intendeva la Minimal Art come “campo pratico” e “dibattito critico”, la curatrice pone a confronto lavori di diversa natura, che si fanno strumento di dialogo e discussione.
LE OPERE IN MOSTRA NEGLI SPAZI DI CASSINA PROJECTS
Attraversando le porte della galleria, la scultura Mechanics and Animality (2021) di Valentin Carron rapisce subito la vista. Un’alta croce svetta al centro della sala con le sue geometrie nette, dure, ma semplici. Il simbolo cristiano per eccellenza viene decontestualizzato e svestito dal suo significato, lasciando la più totale libertà interpretativa. Provocare lo sguardo dello spettatore, per permettergli di andare al di là delle forme estetiche proposte è il principio fondante la mostra.
Da una parte, la percezione sensoriale e visuale è messa alla prova dalle dimensioni in larga scala di qualsiasi opera esposta, come PAUSE | | | 2 0 2 0 – 2 0 2 1 (2021) di Philippe Decrauzat, che si serve di linee e strutture rigorose per creare uno sfondamento spaziale della parete, o la tela monocroma nera, dal titolo ironico Yellow (2017), di Olivier Mosset. Dall’altra, i lavori di Blair Thurman, Smoke on the Water (Deep Purple) (2019), e Liam Gillick, Ghost towns should proliferate… (2018), colpiscono per i loro colori forti e vivaci, con i quali nascondono una ricerca attenta alle relazioni spaziali tra geometrie modulari, corpo e ambiente.
Ulteriori sfide percettive si notano nelle sculture di Alicja Kwade e Monica Bonvicini. La prima, infatti, unisce i pieni e i vuoti, le fragilità e le differenti consistenze degli elementi, mentre la seconda esprime un linguaggio ambiguo e intriso di rimandi sociali e politici attraverso l’utilizzo di lamiere e tubi al led. Una rigidità che si oppone ai tessuti di cui si serve Franz Erhard Walther in Raum und Säule (1981), aprendo così una riflessione riguardo i concetti di spazio e condizione oggettuale dell’opera d’arte.
AL PIANO SUPERIORE DI CASSINA PROJECTS
Al secondo piano della galleria si trova uno tra i lavori più imponenti presenti in mostra. Ohne Titel (2021) di Gerwald Rockenschaub, una superficie nera e lucida nella quale specchiarsi, accoglie il visitatore all’interno della sala dagli alti soffitti. Se la croce di Carron riusciva ad attrarre lo sguardo, qui la potenza della visione è tale da oscurare per qualche minuto le restanti opere. Tuttavia, superando la parete divisoria, riescono a distinguersi le sculture Dead Star Constellation (2014) di Martin Boyce e Untitled (FS) (1998) di John M Armleder. Le “dead star” di Boyce sono lanterne vuote, che non possono più produrre alcuna illuminazione, al contrario della composizione di led di Armleder, che, simile a un oggetto di design, rimanda ancora una volta a quelle provocazioni di cui è pervaso il progetto espositivo.
– Erica Massaccesi
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