La morte di Christian Boltanski e il ricordo di Renato Barilli
Scomparso pochi giorni fa, l'artista Christian Boltanski rivive nel ricordo del critico d’arte Renato Barilli. Dalla metà degli Anni Settanta a oggi
Nella mia lunga carriera di recensore di mostre d’arte mi è capitato di intervenire più volte, e sempre in genere con tono molto positivo, su Christian Boltanski, appena scomparso.
BOLTANSKI E LA NARRATIVE ART
La sua origine data dalla metà degli Anni Settanta, quanto si impose quello strano fenomeno ibrido e polivalente che si intitolò alla Narrative Art, un matrimonio tra frasi scritte, spesso di tono sentenzioso o assurdo o volutamente nonsensical, e delle foto che fingevano di illustrarne i contenuti, o invece miravano liberamente altrove.
Ma poi in lui il momento della foto prese il comando, con una particolare predilezione per gli archivi di famiglia, per i tesoretti di immagini di genitori, fratelli e sorelle, parenti, magari foto ingiallite o oscurate nel tempo, investite da una malinconica e struggente aura cimiteriale, che Boltanski sapeva rendere benissimo, accompagnando queste icone, a un tempo sacre e povere, con lampadine votive, con lumini anch’essi cimiteriali, in modo da creare un clima volutamente struggente, di grande effetto.
BOLTANSKI FRA BOLOGNA E MILANO
Ricordo in particolare una sua personale che si tenne alla Villa delle Rose, uno spazio che funge da sede secondaria della Galleria d’arte moderna di Bologna. Le foto si erano allargate, e nello stesso tempo si erano svincolate dagli spazi ristretti che in passato le avevano contenute, erano divenuti come dei lenzuoli funebri esposti liberamente all’aria, che entrava dalle finestre dello stabile e li faceva sventolare, come bandiere, come lacerti funerei, catacombali, con effetti di grande suggestione.
Poi Boltanski ha capito che non poteva limitarsi a quell’esercizio, e dunque è passato a raccogliere testimonianze più tangibili, più ingombranti dei cari estinti, ammassi non più di foto bensì di vesti dismesse, quasi da ricordare gli orrori dei lager nazisti dove si depositavano le spoglie delle persone mandate a morte. Ricordo in questo senso una mostra molto spettacolare da lui tenuta allo HangarBicocca di Milano, dove, accanto all’orrore suscitato da quel mucchio di miseri cimeli, si accompagnava, o addirittura sovrastava, il battito ingigantito del cuore dei singoli visitatori, fino a costituire un rumore infernale, da cui si sentiva il bisogno di proteggersi tamponando le orecchie. Era il segno di una volontà dell’artista francese di fare grande, in maniere sempre più voluminose.
DA VENEZIA A USTICA: LA SENSIBILITÀ DI CHRISTIAN BOLTANSKI
Una apparizione alla Biennale di Venezia, che gli dedicò il padiglione del suo Paese, si pose addirittura nel segno di una catena di montaggio, o di smontaggio, con lo scorrimento di indumenti in fitta schiera, con afflusso incessante.
Bologna gli deve essere grata per la sua applicazione alla tragedia dì Ustica, dell’abbattimento dell’aereo Itavia, con decine di vittime. In quel caso Boltanski ha dedicato la sua indubbia abilità di ricucitore ricavando una tragica composizione con i rottami dell’aereo, recuperati dai fondali marini in cui era sprofondato.
Ma si poteva temere che l’artista, nelle sue ultime fasi, rimanesse vittima di questo stesso desiderio di divenire sempre più imponente e maestoso. Per sua fortuna, però, in una successiva apparizione sempre alla Biennale di Venezia, l’ho trovato capace di darci una scena di assoluto conforto mistico, grazie a un video animato da una selva di vegetali capaci di emettere suoni cristallini, tintinnanti, leggeri e carezzevoli, dando così luogo a una specie di concerto Zen, o come svolgendo una preghiera tibetana affidata all’aria.
Mi fa piacere pensare che Christian ci abbia lasciato accompagnato da quel concerto così sottile, così confortante, come del resto ha voluto essere tutta la sua arte.
– Renato Barilli
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