Smach: la biennale d’arte contemporanea sulle Dolomiti
L'estate 2021 in Alta Val Badia è all'insegna dell'arte contemporanea. Grazie alla quinta edizione di Smach, biennale dolomitica da godere in rigorosa modalità trekking.
È intitolata alla fragilità la quinta edizione di Smach, biennale d’arte contemporanea che si svolge sulle Dolomiti.
ARTE CONTEMPORANEA SULLE DOLOMITI
Celeberrimo in tutto il mondo, questo settore dell’arco alpino non è soltanto meta – talora e in alcuni luoghi particolarmente abusata – del turismo montano, ma altresì fucina di diversi esperimenti che hanno nella cultura contemporanea il loro fulcro.
Due nomi soltanto a testimonianza di ciò: Dolomiti Contemporanee (abbiamo recentemente intervistato il suo fondatore, Gianluca d’Incà Levis, in occasione dei dieci anni del progetto) e la Biennale Gherdëina (la cui ottava edizione, in programma da maggio a settembre 2022, sarà curata da Lucia Pietroiusti e Filipa Ramos). Se nei primi due casi il fulcro geografico è rispettivamente a Borca di Cadore e Ortisei, nel caso di Smach l’area interessata è quella dell’Alta Badia.
BOLLE E ARCOBALENI IN MONTAGNA
Sono dieci le opere installate nei contesti più diversi, a testimonianza ulteriore di come le Dolomiti e la montagna in generale offrano scenari molteplici. Opere selezionate da una giuria composta da Gerhard Demetz, Giacinto Di Pietrantonio, Guus van den Hout, Julia Bornefeld e Giulia Ferracci; opere visibili singolarmente con escursioni più o meno impegnative, oppure si può optare per un trekking di tre giorni e due notti, così da percorrere l’anello che permette di fare l’en plein.
Il lago di Munt da Rina accoglie la Metafisica dell’occasione di Sara Ambrosini & Giorgia Marchetti, una bolla che perturba la visione “naturale” dello specchio d’acqua e che a sua volta sembra un punto d’osservazione, a metà fra acqua e aria. Qui, come in generale nelle altre opere, la sfida è innanzitutto fornire elementi di disturbo produttivo del pensiero, con buona pace dei presunti puristi – beninteso, nel pieno rispetto dello scenario in cui le opere sono collocate.
Si prosegue con l’opera più riuscita di questa edizioni di Smach, Fragile as a Rainbow della coppia cinese costituita da Xinge Zhang & Jiaqi Qiu, una scenografica sequenza di portali metallici colorati, a formare una sequenza cromatica in forma di arcobaleno sulla sella soprastante il Passo delle Erbe, a breve distanza dal delizioso Rifugio Maurerberghütte.
LA SALUTE DELLA TERRA E LA CASA COME APERTURA SUL MONDO
Decisamente più didascalico l’intervento dello spagnolo Jose Antonio Barrientos de Orca, che pianta una siringa gigante a Pra de Pütia, ricordando quanto la salute della terra e del genere umano siano legate a equilibri fragilissimi.
Ben più aperta, anche letteralmente, alle suggestioni del viaggiatore è invece La casa della narrativa della coppia Alice Cecchini & Roman Joliy (da notare come tante siano le opere realizzate in duo), luogo solo apparentemente sicuro e accogliente, ma che avvicinandosi mostra la sua estrema apertura sull’esterno: nulla di minaccioso, ma rischioso sì, almeno per chi concepisce la casa come un rifugio che esclude l’esterno in favore di un controllo autarchico dello spazio domestico.
ARTE POVERA 2.0 E IL MARE IN MONTAGNA
Una sorta di poverismo rivisitato informa l’intervento a Pares di Elisabetta Trussoni & Nicoletta Aveni, che elevano una serie di sassi e massi sfidando la forza di gravità, legandoli ai tronchi degli alberi, come se fossero dei Penone-Anselmo adornati da cinghie dai colori squillanti.
Ma se l’interesse è per le dissonanze cognitive, il luogo da visitare è Tru di Lêc, biotopo immerso nel bosco, dove Giacomo Savio ha portato Blu delle Dolomiti, una cabina da spiaggia su ruote, dipinta a strisce bianche e azzurre; il mare in montagna, certo, ma che attraverso una finestrotta guarda nuovamente l’acqua scesa dalle alture, e poi quasi di sfuggita ci si accorge che a guardare noi è il volto sorridente, proveniente da un’altra epoca, di un ragazzo ritratto in fotografia – il padre dell’artista, in un omaggio poetico e amorevole.
BANDIERE SENZA CONFINI E I MORTI PER COVID-19
Con Nation State or State of a Nation l’artista Notta Caflisch dissolve letteralmente i confini: le sue bandiere, issate su un crinale in località La Crusc, sono composte da fibre di cotone biodegradabili che pian piano si sfalderanno al vento, disseminando l’identità che dovrebbero rappresentare.
Ugualmente fragile e battuta dai venti è Mama dei fratelli Dimitrii Khramov & Maria Khramova: anch’essi, come Savio, omaggiano un genitore, in questo caso deceduto a causa del virus che ha sconvolto la vita del pianeta negli ultimi due anni.
IL SUONO DELLE DOLOMITI E L’ANTROPOCENE SUICIDARIO
Provengono da Riga Arturs Punte e Jekabs Volatovskis e portano a Fanes due enormi coni acustici: se la loro presenza scultorea è già notevole di per sé, ancor più efficace è la loro funzione di amplificatori dei suoni circostanti. Piazzarsi al loro imbocco convergente genera la scoperta di un mondo invisibile all’occhio – e all’orecchio – umano, un mondo che però costituisce anch’esso la “natura”, che qualcuno crede di poter abbracciare limitandosi a passeggiare lungo i sentieri, quando così facendo limita il concetto di natura stessa a quel che si può apprezzare con i propri sensi.
È un modo come un altro per comprendere la limitatezza del nostro antropocentrismo, resa ancor più palese dal timer di VAZ: Andrea Ventimiglia & Alessandro Zotta, un countdown fissato al 1° gennaio 2035, punto di non-ritorno dopo il quale avremo definitivamente condannato il pianeta sul quale siamo ospitati.
IL PARCO DI SCULTURE E L’ESTETICA DI SMACH
Per chi volesse proseguire l’immersione nell’arte contemporanea e nella storia di questa Biennale, c’è la Val dl’Ert, dove sono installate in maniera permanente una quindicina di opere acquisite durante le scorse edizioni della biennale – un progetto naturalmente in progress, volto a lasciare un segno del passaggio di Smach sul territorio, senza però trasformare in maniera permanente i luoghi in cui di volta in volta sono allestite le opere durante lo svolgimento della biennale stessa. Un compromesso intelligente affinché il rapporto coi suddetti puristi non giunga al punto di rottura.
Una menzione conclusiva va al progetto visivo di Smach: la grafica dello Studiopuls e le fotografie di Gustav Willeit non concedono nulla all’estetica montana a uso e consumo dei turisti, quella fatta di vacche pasciute, cieli tersi e prati in fiore. La montagna è spesso e volentieri ben differente: improvvisi rannuvolamenti, scrosci di pioggia o neve, sfasciume, vette irte, passi brulli, boschi bui.
Quella di Smach non è dunque un’estetica cupa – è semplice onestà.
– Marco Enrico Giacomelli
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