A Bari nasce Voga, nuovo spazio d’arte contemporanea con attitudine mediterranea
Il nuovo project space si trova nel quartiere Libertà, area della città afflitta da fragilità e degrado su cui i fondatori di Voga hanno deciso di investire energie ed esperienze maturate all’estero. Ne abbiamo parlato con loro
Si chiama Voga il nuovo project space che debutta a Bari in controtendenza rispetto a un contesto in cui molte gallerie hanno invece chiuso i battenti. Il progetto, ideato e curato dai baresi Bianca Buccioli, Nicola Guastamacchia e Flavia Tritto, è coraggioso, non solo perché punta a operare in una realtà locale che mostra numerose criticità sul fronte delle politiche culturali, ma anche perché è in via Curzio dei Mille a Libertà, quartiere in cui si concentrano fragilità sociali e degrado. Della nascita di Voga e della visione e degli obiettivi che si prefigge abbiamo parlato con i suoi fondatori.
Come nasce Voga?
Flavia Tritto: Nasce con la pandemia che ci ha costretto a tornare a casa. Ci siamo formati fuori, io con un master alla Central Saint Martin di Londra e con esperienze di residenza in Canada e in Turchia. Anche Nicola Guastamacchia era di stanza a Londra dove lavorava come exhibition manager, mentre Bianca Buccioli arriva da Torino con una laurea magistrale in Filosofia e con il corso per curatori Campo della Fondazione Sandretto. Ci siamo ritrovati e abbiamo deciso di unirci e lanciare un progetto per Bari, la nostra città natale nella quale tuttavia ci sentivamo spaesati.
La mission è quella di sfruttare le esperienze capitalizzate altrove per favorire il locale. Pandemia a parte, quando siamo andati via lo abbiamo fatto con l’auspicio di poter tornare ed esercitare nel territorio.
Come è stato scelto il nome del vostro progetto?
Bianca Buccioli: Voga sta per “vogare”, quindi è un inno all’azione e insieme indica la possibilità di prendere il mare. Un’esortazione con la quale intendiamo guardare al Mediterraneo, potenziandone il legame naturale che Bari ha sia geograficamente che culturalmente. Non è un caso che il nostro primo progetto, Minimum Standards, lanciato ad agosto e ancora in corso, sia stato realizzato attraverso una rete di interlocutori posizionati in diverse aree del Mediterraneo. Si tratta di un intervento che interessa lo spazio pubblico costruito con la collaborazione del Comune di Bari, rivolto alla specificità del luogo ma con sguardo internazionale.
Avete deciso di aprire lo spazio nel quartiere popolare Libertà, centrale ma segnato da degrado, scarsa integrazione e criminalità. Perché?
Nicola Guastamacchi: Ci ha intrigato la possibilità di lavorare in questa zona della città non facile, tuttavia in un quartiere che da qualche tempo è attraversato da un potenziale fermento culturale dopo l’apertura dell’Officina degli Esordi, di Spazio13, operosi punti di riferimento per la creatività locale a vari livelli. Inoltre a Libertà abbiamo trovato uno spazio che oltre ad avere un affaccio sulla strada, possiede un cortile interno, aperto e rassicurante anche in periodo di restrizioni e soprattutto utilizzabile come studio. Abbiamo predisposto anche un mezzanino destinato a residenze per artisti, spartano ma utile per creare e vivere.
La stagione espositiva è partita con Ciò che resta del fuoco, la mostra personale di Marco Antelmi. Di cosa si tratta?
Bianca Buccioli: Marco Antelmi (Bari,1993), vive e lavora a Milano. La sua ricerca mette insieme giornalismo, science-fiction e orizzonti tecnologici. Nel lavoro presentato per l’opening, Marco parte dalla sua cameretta, spazio intimo della casa natale dove ritorna ciclicamente e che immagina come luogo per avviare una complessa riflessione su Cloud. Ambiente essenziale nella costruzione della propria identità, la cameretta si apre a una serie di riflessioni su temi caldi della nostra contemporaneità: la sovranità dei dati, l’ideologia del Cloud, l’intromissione sempre più evoluta delle nuove tecnologie nella sfera privata. Oggetti personali, fatti di cronaca come l’incendio del data center OVH di Strasburgo a marzo 2021, riferimenti antropologici e filosofici, giovanili passioni per il metal, sono alla base dell’installazione.
Progetti per il futuro?
Flavia Tritto: Siamo interessati a mantenere un ruolo di connettore tra emergenze locali e panorama internazionale con un programma espositivo e di incontri che preveda anche aperture interdisciplinari. Abbiamo una connotazione associativa, quindi pensiamo a collaborazioni inclusive con altri project space del territorio. Lavoriamo anche con il vicinato che mostra una particolare attenzione alle nostre attività, probabilmente perché avverte la mancanza di punti di riferimento culturali nel quartiere.
– Marilena di Tursi
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