Nel nome del padre. La mostra dedicata a Vincenzo Stampone da Giuseppe Stampone
Fino al 10 settembre, l’omaggio di Giuseppe Stampone al padre. Una mostra poetica, un tema eterno nell’opera dell’artista
Non è un artista, né un curatore, né un operatore del settore. Ma molti di coloro che hanno frequentato e frequentano il mondo dell’arte conoscono e pensano con affetto al sorriso dolce e silenzioso di Vincenzo Stampone, padre dell’artista Giuseppe, sempre insieme al figlio a spasso per fiere, biennali, inaugurazioni, sempre pronto ad aiutarlo nel lavoro duro di preparazione di un progetto, spostando opere, guidando furgoni, viaggiando in tutto il mondo, da Miami a Seoul, da New York a Gwangju.
LA MOSTRA A FRAINE
Se lo merita dunque Vincenzo, che Giuseppe Stampone chiama spesso scherzando Frank (dal nickname del bisnonno “Frank l’americano”), in un sodalizio puro e un po’ cameratesco, questa mostra omaggio a Fraine (provincia di Chieti) organizzata dalla Pro Loco nel Santuario di Santa Maria Mater Domini, presso una località denominata Bosco delle Vicenne. Intitolata Stampone Vincenzo. Un bambino nato a Fraine, è un “atto d’amore”, scrive Antonello Tolve nel suo testo di accompagnamento, “e di riconoscenza, un momento di raccolta amicizia (la Pro Loco è tutta composta dai suoi amici d’infanzia), un dialogo – infinito, spaziale, mentale – tra padre e figlio, che evita le parole e si deposita nella chiarezza empatica del silenzio”. Un racconto implicito che ripercorre, senza entrare nell aneddotica, la vita di Vincenzo, emigrante tornitore a 12 anni in Svizzera, fuochino nel Mugello da adulto, assistente del figlio da 25 anni. Portafortuna e amico degli artisti.
VINCENZO STAMPONE: DI PADRE IN FIGLIO
Quattro le opere che l’artista ha concepito per raccontare il padre, nel luogo in cui è nato, tutte del 2021, Il bambino che guardava le stelle, Campo di calcio, A mio padre e Autoritratto, a penna bic e grafite come di consueto nella sua pratica, ma con uno stile e un segno che talvolta si fanno più neorealisti, andando a raffigurare, attraverso la propria storia personale, lo spazio infinito della narrazione italiana. Senza nostalgia, ma anche riportando l’attenzione su immagini e storie che attualmente sembrano non più essere il fulcro della costruzione identitaria del nostro Paese, ma che invece da sempre ne costituiscono l’apice e l’ossatura. Ritornano nei volti, nelle scene di genere, nei soggetti semplici che qui vengono sacralizzati, assumendo contorni massicci grazie alla pittura.
Il culmine giunge con Autoritratto, dove c’è il passaggio di consegne, dal padre bambino al figlio artista. “È un po’ come tornare indietro”, spiega Tolve, “leggere una carezza, entrare nella trappola di un sorriso, seguire uno sguardo fiero che non brilla di luce propria ma di quella di un figlio caparbio, fare i conti con la vita (quella vissuta e quella da vivere), giocare al gioco del padre, diventare padre del proprio padre per dargli sostegno, per accompagnarlo al di là del dicibile, dove le parole si spengono nello spazio”.
– Santa Nastro
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