Materia oscura e tecnologia a Berlino. Parla Christopher Bauder, artista della luce
A Berlino le installazioni luminose di Christopher Bauder e del suo studio di design WHITEvoid sono diventate parte di una mostra permanente che chiama in causa l’idea di materia oscura
Dark Matter è un cosmo parallelo di installazioni luminose in cui i confini tra il mondo reale e quello digitale sono sfumati. La mostra cambierà nel tempo, perché è concepita come un organismo vivente mutevole, fugace e sempre in movimento, una visione che assume forme reali solo per brevi istanti.
L’artista della luce Christopher Bauder e il suo studio di design WHITEvoid mette in scena sette opere, in parte interattive, che hanno fatto la storia del team, animando un percorso dislocato in uno spazio espositivo di 1.000 metri quadrati. Luce, movimento e suono si fondono in coreografie di forme e colori. Nel loro portfolio ci sono installazioni come Deep Web o Skalar, nella centrale elettrica di Berlino, e Lichtgrenze del 2014, con gli ottomila palloncini luminosi per il 25esimo anniversario della caduta del muro di Berlino.
Dark Matter prende forma in un luogo per un esperimento una tantum, in collaborazione con altri partner tecnologici innovativi. Quindici anni di innovazione tecnica e visione creativa si uniscono in una collezione di installazioni luminose uniche, alcune delle quali non sono mai state mostrate al pubblico prima. Abbiamo chiesto all’artista di raccontare il suo percorso e quello di WHITEvoid.
INTERVISTA A CHRISTOPHER BAUDER
Perché ci si riferisce alla materia scura ‒ Dark Matter ‒ e non alla luce, che è il mezzo tramite il quale si esprimono i vostri progetti?
Dark Matter, cioè la materia oscura, è la cornice in cui questo avviene. In primo luogo, tutto è nero e i sensi sono tagliati fuori. Il visitatore è separato dal suo contesto ed è per questo che lavoriamo con la luce all’interno di questa materia oscura.
Iniziamo come uno scrittore con un foglio bianco, sul quale non vi è ancora scritto niente. Iniziamo con un “nulla” oscuro, con la materia nera, e poi lo riempiamo con le nostre idee.
Kinetic Lights e Holoplot adattano la tecnica all’ambiente circostante. Questo amplia le capacità dell’uomo di fruire lo spazio circostante. Come vengono influenzati i progetti dal contesto?
In realtà è il contrario. Abbiamo delle idee e poi cerchiamo la tecnologia giusta per realizzarle.
Holoplot è, per esempio, un sistema di sintesi del campo d’onda. Ciò significa che un numero molto elevato di altoparlanti (ovvero 2000 piccoli altoparlanti installati in 24 cluster nel padiglione 3) può essere utilizzato dal software per posizionare il suono in qualsiasi punto della stanza. Questo sistema ci dà la possibilità di muovere e rappresentare i suoni in modo tridimensionale, esattamente come facciamo con le immagini.
Kinetic Lights è la nostra azienda, produttrice degli argani a motore utilizzati, per così dire, e spin-off delle nostre idee con cui muoviamo tutti gli elementi luminosi. Il movimento della luce in connessione con il suono è controllato da un software speciale per quest’arte chiamato TouchDesigner, che consente la prototipazione flessibile dell’ambiente. In generale posso dire che prima è arrivata l’idea e poi ho sviluppato il prodotto. Senza questa tecnologia non saremmo assolutamente in grado di realizzare queste installazioni.
In Lichtgrenze (installazione urbana composta da ottomila palloncini luminosi realizzata nel 2014 in occasione del 25esimo anniversario della caduta del muro di Berlino) si poteva attraversare il muro di luce fatto di palloncini da un momento all’altro, dando la sensazione di essere liberi di muoversi al di là e al di qua del “limite” (Grenze) “luminoso” (Licht). Qui ci si ritrova principalmente nell’oscurità e, nel momento in cui le luci si attivano, ci si rende conto di essere presenti e di partecipare all’atmosfera creata dall’installazione. Il limite è quindi immateriale, tra il buio e la luce. C’è un rapporto tra quell’opera urbana e i sette lavori esposti in Dark Matter?
La luce è ovviamente il fattore comune. Lichtgrenze era un’installazione luminosa statica.
Alcune delle installazioni Dark Matter sono interattive, ci sono sensori. Puoi toccarli, ad esempio riprodurre musica con Tonleiter o camminare sopra Polygon Playground. Mentre Lichtgrenze era interattivo in quanto le persone si incontravano nei pressi dell’opera. Era come una nuova visione, un punto di attrazione, come una calamita. Le persone si adunavano lungo il tracciato luminoso segnato dai palloncini e parlavano delle loro esperienze, di quanto successo lì. Questo è un elemento di connessione. È così che cerchiamo di lavorare con le emozioni. In realtà è solo un palloncino luminoso. Non abbiamo fatto altro che accendere le luci, eppure questo ha creato grande coinvolgimento nella gente che visitava l’installazione, perché magari evoca esperienze e rimandi diversi.
Vale lo stesso per Dark Matter?
Entri nella nostra mostra e poi magari ti fai le prime domande. Sembra una medusa o un’astronave. Così giochiamo con le emozioni e i ricordi dei visitatori. Ti ricorda qualcosa che conosci bene, ma non è quello a cui pensi quando lo vedi. Il nostro obiettivo è generare emozioni, diverse per ogni visitatore. Attraverso questo processo richiamiamo alla memoria le immagini che abbiamo salvato nel tempo. Vogliamo stimolare il pensiero, in modo differente per ogni individuo.
NATURA E TECNOLOGIA
Nelle vostre opere sembra sia forte l’ispirazione alla natura e ai suoi elementi. Vi siete realmente ispirati a essa oppure il mondo di Dark Matter si pone come alternativa alla natura?
Entrambi. Gran parte dell’ispirazione viene dalla natura. In Bonfire c’è ovviamente fuoco acceso nella stanza. Dall’altra parte, è anche una caricatura della natura. Non c’è niente di naturale in questo fuoco, ma è lì e lo guardi per ore, perché cambia come un vero fuoco e perché fuma e crepita. Ma in realtà gioca solo con la memoria del vero fuoco che tutti hanno. Non è un vero fuoco. In questo senso, è un po’ una critica alla tecnologia. Sogniamo sempre la natura, ma viviamo in città e ci sediamo al computer e lavoriamo con la tecnologia. In effetti, tutto ciò è un paradosso. Cerchiamo di ricreare la natura con simulazioni di realtà virtuale, ritrovandoci poi nel deserto al Burning Man o a giocare ai videogiochi che emulano perfettamente il tempo metereologico e lo troviamo particolarmente bello. In realtà la domanda che rimane è: perché vogliamo sviluppare ulteriormente la tecnologia e distruggere sempre più la natura, anche se in realtà la desideriamo?
Come definiresti Dark Matter?
Dark Matter offre ai visitatori un’esperienza. Non è un’opera d’arte, intesa in modo tradizionale, che ad esempio un collezionista acquista. Non si tratta di vendere arte.
L’arte viene solitamente presentata in una galleria, in modo che possa essere acquistata, o in un museo, così da essere conservata per i posteri e per documentare cosa è successo in quel periodo. Per noi si tratta di creare un’esperienza momentanea, che faccia riflettere o semplicemente permetta di prendersi una piccola pausa dalla vita.
I costi proibitivi delle tecnologie rendono quest’arta accessibile a pochi?
Quando ho iniziato era qualcosa di nuovo e la tecnologia non era così facile da trovare. Molte cose bisognava costruirsele da soli. All’università ora puoi studiare tutto, e i sensori, le luci a LED, tutto ciò di cui hai bisogno, sono molto più economici di prima e in realtà più accessibili. In alcuni casi noi stessi utilizziamo la tecnologia già disponibile. Certo, se si vuole costruire qualcosa di grande e complesso, come Grid nell’ultima sala della mostra, questo è ovviamente al limite del fattibile.
Come si progettano mondi e scenografie fantastiche durante una crisi sanitaria?
Abbiamo iniziato ad allestire Dark Matter esattamente quando è arrivato il primo lockdown. In un certo momento è sorta la domanda: dovremmo fermarci o dovremmo semplicemente andare avanti e vedere cosa succede? Abbiamo deciso di andare avanti. Come artista vuoi creare cose, esprimere te stesso. Dark Matter è stato semplicemente il nostro più grande mezzo di espressione e abbiamo investito tutto per prepararlo. Poi l’abbiamo completato effettivamente nel momento peggiore, in cui non era possibile aprire una mostra. Ma avevi un compito e un obiettivo per quello che sarebbe successo dopo, per il futuro.
– Nicola Violano
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