La super galleria di Londra Saatchi Yates apre uno spazio a Torino
Saatchi Yates, la galleria londinese aperta nel 2020 su iniziativa di Phoebe Saatchi, figlia del ben noto Charles, e di suo marito sta per sbarcare a Torino durante Artissima. Ecco come è nato un progetto che sta già facendo parlare
Saatchi Yates approda a Torino. La giovanissima galleria londinese dedicata alle ultime tendenze del contemporaneo arriva in Italia con un temporary space che farà molto parlare di sé. Aprirà il 3 novembre, con l’opening ufficiale programmato il 5, proprio in occasione del primo giorno di fiera di Artissima.
Lo spazio temporaneo internazionale di Saatchi Yates è situato strategicamente nel cuore del capoluogo piemontese, in via Gobetti 12, che dista poco più di 500 metri dalla stazione ferroviaria di Porta Nuova. Si tratta di 500 metri quadrati rimasti sfitti per sei anni e ripristinati per l’occasione. I lavori sono in corso e la sede centrale della galleria, mentre Londra ha appena accolto il pubblico della Frieze Art Fair in Regent’s Park, si sta occupando di assicurazioni, logistica e marketing per poter ospitare al meglio una trentina di opere a Torino e organizzare anche diversi eventi a invito.
La città piemontese costituisce la prima di una serie di ambite espansioni fuori dalla Gran Bretagna. C’è già l’idea di aprire sedi temporanee di Saatchi Yates anche in California, a Palo Alto, e in Cina, a Shangai. D’altra parte, pare che i collezionisti più seri siano asiatici (da Hong Kong, Taiwan, Cina, Corea, Singapore), anche perché particolarmente attenti alla ricerca e “affamatissimi di apprendere cose nuove”.
UN GENOVESE A LONDRA
L’idea di aprire una sede decentrata temporanea a Torino è venuta ai due giovani italiani del team Saatchi Yates, Lucrezia Pero, che cura le relazioni istituzionali e museali della galleria, e Stefano Amoretti, direttore con la passione per l’Arte Povera. Quest’ultimo, nato nel 1994 a Genova, dopo la maturità classica è andato oltremanica per frequentare il corso interdisciplinare in “Culture and Creative Industries” presso la City University of London.
Qui, a suo dire, ha “studiato pochissimo”, ma in compenso è “uscito spesso la sera”, cogliendo ciò che poteva offrirgli la capitale e costruendo così un fitto tessuto di conoscenze, di relazioni e di collaborazioni stimolanti con artisti e gallerie.
Prova ne è che, a soli 21 anni, è entrato a lavorare da Christie’s, dove ha fatto la gavetta occupandosi di mercati europei e arte italiana, ha perfezionato la sua formazione e, in neppure cinque anni, è arrivato a essere “co-head of post-war and contemporary day sales” della sede di Londra. Da novembre 2020 fa parte della scuderia della galleria Saatchi Yates, di cui parla con entusiasmo. E se spesso in città c’è un po’ di “maccaja” – come direbbero in Liguria –, a Londra, che definisce “un coagulo di villaggetti”, Stefano sta benissimo: per di più, “le campagne ‘alla Jane Austin’ sono raggiungibili in soli 40 minuti”.
LA FILOSOFIA SAATCHI YATES
Chi sono davvero Phoebe Saatchi e Arthur Yates e i loro collaboratori? “Siamo una banda di ragazzotti allo sbaraglio”, risponde Stefano ridendo, dato che l’unica figlia dell’imprenditore Charles Saatchi è nata anche lei nel ’94 e suo marito, il fashion designer Arthur (1991), è appena trentenne. Poi rettifica e formula una definizione professionale: “Siamo un team di super alto livello”. Determinati, creativi, manageriali, open minded, questi giovani vogliono “fare le cose in maniera diversa”, focalizzandosi su talenti “unknown and unseen”, staccandosi così ambiziosamente da vicini prestigiosi come le altre gallerie di Mayfair, nel West End londinese, che promuovono affermati maestri del dopoguerra e del contemporaneo.
La sede di Saatchi Yates è stata aperta tra un’ondata Covid e l’altra nell’ottobre 2020 in Cork Street, “la casa spirituale del mercato dell’arte moderna e contemporanea a Londra”. Lì, dietro e a ridosso della Royal Academy of Arts e della Burlington Arcade, che collega Bond Street a Piccadilly, si affacciano, tra le altre, le gallerie Waddington Custot e Goodman. È chiaro che, in un contesto del genere, nel cosiddetto “triangolo d’oro tra Christie’s e Sotheby’s”, la Saatchi Yates “attira attenzione e arricciamento di nasi” da parte dei competitor, come sottolinea Stefano.
“Siamo aperti 7 giorni su 7 e una porta gigantesca rimane sempre aperta”, racconta ancora, “per cui nell’open space della galleria entrano circa 150 persone al giorno”. Da un lato, i curiosi in teoria disturbano il lavoro del team, ma dall’altro questa azione può intercettare un pubblico nuovo, “quello che solitamente si sente inibito a varcare la soglia di certi templi dell’arte”.
Lo spazio espositivo disponibile è distribuito su due piani e copre oltre 900 metri quadrati: il piano terra è dedicato agli artisti emergenti rappresentati da Saatchi Yates e permette l’allestimento di mostre su larga scala, mentre il piano inferiore è riservato al mercato secondario, a presentazioni di arte contemporanea di alto livello provenienti da importanti collezioni private.
GLI ARTISTI EMERGENTI DI SAATCHI YATES
Phoebe e Arthur hanno lavorato tre anni per preparare il lancio più appropriato della galleria, per la quale hanno costruito una vasta rete di relazioni con collezionisti e dealer. Si sono avvalsi anche di Charles Saatchi come art advisor per sviluppare un nuovo modello espositivo e commerciale.
Il loro desiderio più grande è individuare artisti giovani dall’alto potenziale, aiutarli a crescere fornendo loro il supporto necessario e poi esporli a un pubblico globale e molto selezionato. Agire sul mercato primario in questo modo può essere anche “stressante”, assicura Stefano, “ma altrimenti non ci si diverte”: gli artisti emergenti solitamente non hanno uno studio in cui lavorare e non si avvalgono di assistenti, per cui bisogna seguirli in tutto.
Tuttavia i risultati ci sono, perché già la prima esposizione, la personale dell’artista svizzero Pascal Sender, aveva registrato il sold out. Non è raro che tante opere vengano vendute prima dell’inaugurazione. A Londra hanno poi organizzato la collettiva di graffitari parigini anti Street Art, Allez La France!; la personale dell’artista etiope Tesfaye Urgessa, già esposto tra il 2018 e il 2019 agli Uffizi; la personale appena conclusa di Benjamin Spiers, pittore inglese iperrealista / surrealista.
LA MOSTRA A TORINO
Nel capoluogo piemontese si seguirà la stessa filosofia della casa madre. La mostra che aprirà a novembre nel nuovo spazio non sarà una mostra curatoriale, ma esporrà due artisti rappresentati dalla galleria, Jin Angdoo e Kottie Paloma, accanto all’ormai storicizzato A.R. Penck. Si cercherà, comunque, di suggerire un dialogo fra i tre artisti, che hanno esplorato le linee tra astrazione e figurazione. Inoltre, sarà disponibile una serie di opere di mercato secondario.
L’asiatico-americana Jin Angdoo (Yeoju, Sud Corea, 1981), che vive e lavora tra Los Angeles e Parigi, è una dei quattro artisti già esposti nell’ambito di Allez La France! Insieme a Mathieu Julien, Hams Klemens e Kevin Pinsembert fa parte di un movimento collettivo che si muove tra Parigi e Marsiglia e che getta uno sguardo innovativo e pittorico sulla Street Art, esprimendosi come i muralisti, ispirati agli espressionisti americani più che a Banksy. L’iconografia della Angdoo prende corpo all’interno di grandi composizioni minimali, come fiori giganteschi che spariscono nell’astratto.
Al pittore americano Kottie Paloma (Los Angeles, 1974), che attualmente vive e lavora ad Alzenau, in Baviera, la galleria dedicherà una retrospettiva a marzo 2022. Le sue opere esplorano il lato più oscuro della società in modo umoristico e, allo stesso tempo, grintoso.
Il suo segno è gesturale, quasi cavernicolo, e richiama certa pittura tedesca anche greve, alla Baselitz e alla Kippenberger. Usa anche lui, come la Angdoo, una palette di colori molto minimal.
Accanto a loro, una selezione di opere dell’artista tedesco del dopoguerra A.R. Penck (Dresda, 1939 ‒ Zurigo, 2017) evidenzia con i suoi simboli grafici e i graffiti come possa essere stato un punto di riferimento per i primi due.
Se Londra vanta un pubblico per qualsiasi evento, si è certi che anche Torino non sarà da meno e onorerà l’opening di Saatchi Yates con la dovuta attenzione. “Il ruolo di mio padre è stato quello di guidarci”, spiega Phoebe Saatchi, “ci ha istruito su tutti gli elementi di ciò che è stato il mondo dell’arte prima, in modo da poter rompere tutte quelle regole”. Adesso, con gli spazi temporanei, lo sguardo sul mondo si deve dilatare ancora di più. E poi, dopo la Brexit e l’anno della pandemia, non si può certo “mettere la propria vita in attesa”. Phoebe e Arthur concordano: quello che cercano di fare con la loro galleria è iniziare qualcosa di positivo e pieno di speranza, per cui occorre più che mai “a new way of looking at things”.
‒ Linda Kaiser
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati