A Roma la pittura di Patrizio Di Massimo, tra presente e richiami al passato
In mostra alla galleria T293, Patrizio Di Massimo include nella sua pittura uno sguardo al Ritorno all’ordino e al Realismo Magico, declinandoli in un linguaggio contemporaneo.
“I miei riferimenti? Dai ritratti delle mummie del Fayum alle icone di Giotto, dall’arte rinascimentale e barocca alla pittura preraffaellita, fino agli artisti del ritorno all’ordine dopo le avanguardie, in particolare Otto Dix, George Grosz e Giorgio de Chirico, ma anche Christian Schad”. Così Patrizio Di Massimo (Jesi, 1983) racconta il suo sguardo sull’arte del passato, che lo ha aiutato a definire l’evoluzione della sua pittura recente, in occasione di The Tail End of the Tale, la sua quarta personale presso la galleria T293 di Roma, aperta fino al 23 ottobre.
LE OPERE DI PATRIZIO DI MASSIMO
Il tema della mostra è il confine tra realtà e fantasia, che l’artista sviluppa all’interno di ambienti domestici, che corrispondono agli appartamenti dove ha vissuto e vive a Londra. Scene di vita quotidiana di un nucleo familiare composto da pochi personaggi, colti in diverse situazioni e momenti della giornata: l’artista, sua moglie, sua figlia piccola, la sua maestra e alcuni colleghi e amici artisti. In uno dei dipinti più emblematici, The Tail End of the Tale ‒ che dà il titolo alla mostra ‒, Di Massimo ritrae i membri della sua famiglia come personaggi di una favola nei panni di animali come volpe, gufo e topo, evocando l’atmosfera lievemente perturbante che aleggia in tutti i dipinti, come un fil rouge che scorre sottotraccia, in contrasto con l’ambientazione intima e casalinga. Così in The Price of Motherhood vediamo la moglie Nicoletta dormire spossata sul divano, dopo la lettura del libro omonimo, che illustra la fatica della maternità: una tela equilibrata e compiuta nella scelta della posa e dei colori, che ricordano le opere di artisti come Ubaldo Oppi o Piero Marussig, nella dimensione sospesa tipica del Realismo Magico degli Anni Trenta.
LA PITTURA SECONDO DI MASSIMO
Un occhio verso Otto Dix è riscontrabile nel dipinto Angry Birds, mentre René Magritte viene evocato dalla finestra al centro dell’opera Flat 2, 164 Peckham Rye, dove la figlia dell’artista Diana gioca tranquilla in una stanza simile a una nursery. Una struttura diversa caratterizza Anna ‒ il ritratto dell’artista Anna Franceschini ‒, raffigurata dietro a una libreria con gli scaffali occupati da oggetti simbolici vicini all’immaginario dell’artista, mentre A Blue Room e Tea Time proiettano lo spettatore in una dimensione più conturbante, legata al lato più oscuro dell’artista, vicino a situazioni ambigue, in bilico tra erotismo e paradosso. Una mostra che evidenzia la maturità raggiunta da Di Massimo, sia a livello tecnico che concettuale, in grado di sintetizzare in opere di grandi dimensioni immagini di notevole potenza evocativa e simbolica, quasi a voler rinnovare la tradizione della pittura italiana degli anni tra le due guerre, con un tocco di contemporaneità suscettibile di sviluppi inaspettati.
‒ Ludovico Pratesi
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