Artisti come influencer? Thomas Hirschhorn in mostra a Napoli
L’arte all’epoca dei social network ispira la provocatoria riflessione di Thomas Hirschhorn, in mostra alla galleria Alfonso Artiaco di Napoli
Stupisce, conoscendo l’estetica accumulatoria di Thomas Hirschhorn (Berna, 1957), incontrare uno spazio così netto e pulito nella sua nuova personale da Alfonso Artiaco.
Gli ambienti compulsivi di accumulo a cui ci ha abituato ‒ tra rimandi a Louise Nevelson o al Dada di Kurt Schwitters, e una magnificazione dei materiali in linea con il pre Informale di Rauschenberg ‒ sono sostituiti da una quasi pinacoteca di poster ordinatamente esposti a parete, simulanti post che riflettono su autorialità e appropriazione, con immagini dal web e statement dell’autore. Rinverdendo la funzione di fare arte con impegno, al di là di ogni arte impegnata.
LA MOSTRA DI THOMAS HIRSCHHORN A NAPOLI
Ma l’apparente contraddizione pare essere sanata, perché ciò che permane è la profonda dinamica comunicativa dell’autore: il suo uso dell’oggetto supera i linguaggi Dada, Neopop e Neogeo intendendolo, alla McLuhan, come estroflessione antropologica capace di evidenziare le criticità del nostro mondo. E Hirschhorn ama rendercene consapevoli con un processo di contrasto. Infatti, normalmente gonfia il disordine, moltiplicando modularmente oggetti che non sono normalmente presenti a migliaia nei nostri ambienti quotidiani ‒ in una serialità ossessiva che, contrariamente a quella metalinguistica di Warhol, non esautora, ma carica il messaggio. In questo caso, invece, la presa di coscienza passa necessariamente attraverso il rendere stranamente ordinato l’eccesso di informazioni, messaggi, notifiche che configura la vera garbage odierna, quella digitale. Con in più una voluta ingenuità grafica che strizza l’occhio all’Art Brut, evidenziando, oltre l’estetica superficiale adottata dai media, il loro ridurci tutti pericolosamente in uno stato regressivo, in balia di influencer nelle braccia dei quali, come direbbe Fromm, fuggire dalla libertà.
ARTE E INFLUENCER
Discreta ma intensa, ci salva la penultima sala: una mood board del progetto espositivo, che seguendo Michael Asher e la Institutional Critique, Philippe Parreno, Davide Minuti, Giulio Paolini, svela i trucchi: ogni artista, come ogni influencer, è uomo che lavora e riflette, soggettivamente.
‒ Diana Gianquitto
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