L’installazione di Alfredo Pirri a Siracusa ti fa camminare sugli specchi
Al Castello Maniace di Siracusa va in scena la riflessione di Alfredo Pirri sulla materia, il doppio e lo spazio. Un enorme pavimento di specchi calpestabili che “risponde” ai passi del pubblico
Tornando a sfogliare le prime pagine del luminoso volume pubblicato nella cornice del progetto I pesci non portano fucili (Roma, Macro Testaccio, 2017), lo sguardo cade su queste parole dell’artista Alfredo Pirri: “Ho pensato alla mostra […] come parte viva di una città immaginata come mare aperto. Acqua […] dentro la quale immergersi per poi riemergere dando forma ad avvenimenti intermittenti, multiformi e galleggianti. Episodi e iniziative che si mostrano agli altri con una luce forte e riconoscibile da lontano (come un faro), o allo stesso tempo, una sfera sospesa e incertamente galleggiante sulla superficie liquida e tempestosa (come una boa). Ho pensato che tutto dovesse scivolare a pelo d’acqua come fa l’olio e […] muoversi tingendosi di timbri mutanti e diversamente vischiosi e spostandosi secondo correnti sotterranee non sempre percepibili da chi guarda il mare standosene comodamente seduto a riva”.
L’INTERVENTO DI PIRRI AL CASTELLO MANIACE
Il pensiero (visivo) corre all’esperienza percettiva dello storico ciclo PASSI, nella tappa siracusana – ideata e curata da Helga Marsala per il federiciano Castello Maniace di Ortigia – vista in tutto il suo splendore ‘acquatico’ qualche mese fa. Difficile non leggere le immagini metaforiche riferite al progetto romano come prefigurazione di una loro reificazione nelle acque sicule, un mare che Pirri fa ‘fluire’ negli ottocento metri quadri della Sala Ipostila del Castello.
E non si può fare a meno di mettere in relazione i due ‘luoghi’ perché in effetti la vasta e prismatica opera di Alfredo Pirri (Cosenza, 1957) è leggibile come una immensa e articolata tessitura di motivi che ritornano, in variazioni, prendono posizione in una ideale mappa – o nella forma rizomatica a lui cara del bambù – si riposizionano, mutano a seconda di come è proseguito il cammino. Passi, appunto, di un artista che non procede linearmente guardando fisso in avanti, bensì volgendosi intorno, dietro, ai lati; e anche sopra la testa e sotto i piedi… come succede a chi percorra lo spazio dell’installazione, e come accade allo stesso artista nello splendido video (di Pietro Leone) presente in mostra. Presente in senso forte: un video che ci sembra ben più che illustrazione e approfondimento; piuttosto parte integrante del progetto. Immagini e suoni che rendono evidente la continuità tra il gesto dell’artista e la situazione a cui accede il visitatore, il suo stesso calpestare e percorrere l’opera. L’artista fa rotolare una delle sfere in pietra crepando il pavimento di specchio (creando una ‘scia luminosa’ sonora), muove e posiziona nello spazio le lievi sfere colorate: avvia un processo che sembra svolgersi senza soluzione di continuità fino ai ‘passi’ di chi fruirà l’opera.
PIRRI, LO SPECCHIO E LA DUPLICITÀ
Pirri parla del nostro doppio speculare, attaccato al suolo ai nostri piedi, come di un’ombra: come l’ombra talvolta è più potente della figura in luce, così ci si chiede se la nostra immagine rovesciata che fedele ci accompagna non possa essere la nostra vera realtà.
Viene in mente un passaggio di Clément Rosset da Impressions fugitives, dove si legge che se il doppio, fattore principale dell’illusione, è il sintomo di un rifiuto della realtà, vi sono tuttavia dei doppi che al contrario sono garanti dell’autenticità del reale: come l’ombra, quell’ombra che, non senza conseguenze, viene a mancare alla Donna senz’ombra e a tanti personaggi di racconti sul tema. Corpo in luce e sua ombra sono un unico, scrive Rosset – al punto da mettere in dubbio l’appropriatezza del concetto di ‘doppio’. Come dire che lo scollamento e la duplicità custodiscono una interezza.
Volgersi a dimensioni dei corpi e dello spazio differenti, esercitare lo sguardo e i sensi al molteplice, corrisponde qui anche a volgersi a dimensioni del tempo diverse. Passato presente futuro sono stratificazioni compresenti, afferma Pirri a proposito del progetto al Castello Maniace. La memoria, la storia, il passato e il futuro, dice l’artista, ci fanno sprofondare come potrebbe fare rompendosi questa superficie fragile, simile a ghiaccio. E scatta anche un’associazione con il tempo meteorologico, con le sue luci. L’incipit del video al buio suggerisce il desiderio di visitare l’installazione lungo tutte le 24 ore del giorno e della notte, e anche in stagioni diverse. L’apparente frammentazione si rivela in realtà come incessante dinamismo che restituisce lo spazio a un tutto organico. Passeggiando si percepisce di entrare a fare parte di un intero.
PIRRI, LA LUCE E LO SPAZIO
Mobilità, molteplicità, compresenza, duplicità hanno a che fare anche con un altro tratto dell’opera di Pirri: l’essere contemporaneamente nella singolarità e nel collettivo, nel particolare e nell’universale. Questa dimensione risuona nella Project Room (una stanza progettuale ma forse anche ‘di proiezione’), che oltre al video ospita una maquette – anch’essa molto più di un modellino: la dimensione in scala minore sembra alludere alla piccola umanità nel grande cosmo luminoso e acquatico. Se la specularità mette in atto un confronto con se stessi che è relazione con ‘l’altro’, secondo l’artista si tratta anche di una valenza politica dell’azione: rovesciare luoghi e spazi del potere tradizionalmente chiusi, aprirli. Come aprirli? Grazie alla luce e alla dimensione condivisa da essa creata. Aperture, reali e immaginate, che idealmente fanno entrare l’acqua; concretamente lasciano che la luce invada lo spazio. Luce. In quale delle mille declinazioni possibili? Il ‘dispositivo’ creato da Pirri fa dello specchio un proiettore, il filtro attraverso cui la luce si espande, richiamando anche una trasparenza. Lo specchio non è materialmente trasparente, ma lo è concettualmente nell’impiego che qui se ne fa: abbatte frontiere, lasciando entrare l’esterno tramite la sensazione del mare che si affaccia. L’architettura sembra non separare più, l’idea di fortificazione passata si dissolve nella luce condivisa del presente. Verrebbe da dire ‘architettura di specchio’, parafrasando Paul Scheerbart (Architettura di vetro) a evocare anche lo spazio di una serra: immersi nella luce e pervasi dalla sensazione di liquidità (liquidità opportunamente accostata al calviniano Palomar dalla curatrice Helga Marsala). Una serra-acquario dove fluttuare nella luce liquida.
Da Kleist a Cocteau, diversi autori hanno giocato con l’ambivalenza di ‘riflessione’: sdoppiamento nello specchio, ma anche attività del pensiero. L’interrogazione, l’infinita molteplicità dei piani di realtà disorientano, fanno perdere l’equilibrio senza tuttavia provocare inquietudine. Ci fanno riflettere lasciandoci sentire che un ‘altro’ equilibrio è possibile.
‒ Cristina Grazioli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati