Jimmie Durham e l’Italia. Le mostre dell’artista tra Napoli, Roma, Venezia, Milano
Fondazione Morra Greco, Querini Stampalia, Adolfo Pini, MAXXI, Madre e non solo: sono numerose le istituzioni pubbliche e private che hanno dedicato spazio e attenzione al lavoro di questo grande artista, recentemente scomparso. Eccone alcune
La morte di Jimmie Durham (Arkansas, 1940 – Berlino, 2021) ha rappresentato un colpo per il panorama contemporaneo. Considerato uno degli artisti di maggior spessore del nostro tempo, insignito del Leone d’Oro alla Carriera dalla 58. Biennale di Venezia, Durham è stato intellettuale, saggista, poeta e attivista. Dagli anni Sessanta il suo lavoro ha raccontato e svelato le contraddizioni esistenti all’interno della società attuale e le convenzioni all’interno delle quali inconsapevolmente viviamo. Attraverso la sua poetica sottile e incisiva ha aperto nuove strade, prospettive, visioni. Il suo messaggio è stato colto anche in Italia, tra istituzioni pubbliche e private e spazi espositivi da Nord a Sud che ne hanno accolto e promosso l’opera. Eccone alcune, disposte in ordine temporale.
-Giulia Ronchi
JIMMIE DURHAM ALLA FONDAZIONE VOLUME! DI ROMA
Risale al 2007 Templum: il sacro, il profano, e altro, la mostra di Jimmie Durham ospitata alla Fondazione VOLUME! di Roma. Un percorso site specific a cura di Angelo Capasso concepito con l’intento di destrutturare a ogni passo le certezze del visitatore, attraverso uno spazio rimodellato in funzione delle opere e della loro fruizione. Materiali di fortuna, elementi artificiali, naturali e industriali si sono alternati negli spazi essenziali di VOLUME! culminando nell’area profana del tempio oltre la quale si estendeva lo spazio sacro ritmato da bidoni di petrolio che sovvertendo l’originaria funzione di contenitori di oro nero, sostenuti da insoliti piedistalli su cui poggiavano gli elementi primari della vita, come acqua, deserto, montagna. Una riflessione “sulle contraddizioni della realtà globalizzata”, nelle parole del curatore, “che rovescia il senso del reale privandolo della sua naturale consistenza, e relegandolo a profano, idolatra al suo posto vuote verità su cui si innalzano i templi e i falsi miti della civile società moderna”.
L’INSTALLAZIONE DI JIMMIE DURHAM A EDICOLA NOTTE A ROMA
“Edicola Notte è uno spazio davvero unico. È impegnativo, ma è anche un gioco. Nessuno ti mette fretta per produrre l’opera, non hai nessuna aspettativa commerciale o economica, non ti confronterai con la critica d’arte. La tua partita si gioca direttamente con la strada, senza mediazioni”. Così Jimmie Durham descriveva Edicola Notte, spazio catalizzatore di idee creative fondato nel 1990 dall’artista sino-malese H. H. Lim. Una piccola vetrina situata a Trastevere diventata negli anni una delle realtà espositive più dinamiche e sperimentali della Capitale, uno spazio visibile solo dall’esterno. È qui che l’artista nativo americano ha allestito, nel 2012, la sua Underground and cloud connections, in cui la muta di un serpente giaceva accanto a oggetti trovati e scelti durante una passeggiata sull’Appia Antica – anche qui materiali poveri – come pezzi di corteccia, tubi idraulici e un quadrato di vetro accostati tra loro per suggerire un’idea di rito, di cambiamento, un destino inesorabile.
MOSTRA DI JIMMIE DURHAM ALLA FONDAZIONE MORRA GRECO DI NAPOLI
È stata ospitata tra dicembre 2012 e febbraio 2013 nella sala dorica del Palazzo Reale di Napoli: organizzata dalla Fondazione Morra Greco, la mostra partenopea di Jimmie Durham Wood, Stone and Friends è stata improntata attorno al tentativo di decostruire i concetti cardine della cultura europea, lasciando all’essenza stessa dell’oggetto la capacità di raccontare la sua storia. La sala è stata utilizzata come uno spazio contemplativo grazie all’effetto surreale delle sculture dell’artista, composte dal legno di quattro tipologie di alberi differenti, massi di pietra lavica e frammenti di metallo industriale. Lavori a metà tra natura e artificio ispirati alle opere di Constantine Brancusi e alla sua volontà di catturare e riprodurre l’essenza delle cose attraverso un processo scultoreo che tende ad evidenziarne la realtà effettiva. “Antony Huberman, in un saggio sull’artista, ha scritto: ‘Dimenticate che la storia è una collezione di storie che danzano insieme?’ La sala dorica di Palazzo Reale di storia e di storie ne contiene tante, come i due ulivi bicentenari ed il magma solidificato che vengono lasciati liberi di parlare silenziosamente allo spettatore, facendo leva sulla sua capacità immaginativa”, raccontava la curatrice Anna Cuomo. L’atto dell’artista consiste semplicemente nel ricreare l’ambiente naturale da cui gli oggetti messi in gioco provengono, creando una foresta da ciò che già in sé ne è parte”.
MOSTRA DI JIMMIE DURHAM ALLA FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA DI VENEZIA
Jimmie Durham Venice: Objects, Work and Tourism è la mostra organizzata dalla Fondazione Querini Stampalia di Venezia nel 2015, in concomitanza con la 55.edizione dell’Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale. Una riflessione nata nel 2012 dal dialogo tra Jimmie Durham e l’istituzione e da lì proseguita nel tempo attraverso l’osservazione della città e delle sue dinamiche: il rapporto tra Venezia e un turismo massivo e corrosivo, la sparizione dei suoi abitanti, delle sue botteghe, della sua vera identità. Un monito sulla sua fragilità, tramite una visione che si è rivelata drammaticamente profetica, come ha dimostrato anni dopo l’impatto della pandemia sulla Laguna. “In ‘Venezia, gli oggetti, il lavoro e il turismo’ c’è l’idea portante della consueta pratica artistica di Durham: lasciare all’essenza stessa dell’oggetto la capacità di raccontare la propria storia”, spiegava la curatrice della mostra Chiara Bertola. “Il vetro, l’oro, il marmo, la pietra d’Istria, i materiali che compongono la cultura di Venezia hanno tutti una propria forza per auto-descriversi e raccontarsi indipendentemente dagli stili e delle forme che hanno loro imposto le diverse correnti artistiche”.
L’OPERA DI JIMMIE DURHAM AL MADRE DI NAPOLI
Nel 2016 il Madre di Napoli ha esposto al pubblico, in occasione delle festività natalizie, il Presepio di Jimmie Durham, opera della collezione. Un omaggio alla tradizione artigianale e artistica partenopea, ma anche una profonda riflessione sul senso di sacralità, sulla famiglia e sulla materia. Il Presepio di Durham riprende la configurazione classica di questo elemento natalizio, ambientando lo scenario nella città contemporanea e popolandolo di personaggi come il pescatore, il dormiente Benino, l’angelo messianico. Fondamentale in quest’opera è l’uso di materiali poveri – ma di forte intensità simbolica – come il legno e la pietra. Quest’ultima, in particolare, ha caratterizzato tutto il percorso dell’artista, prediletta non per la sua possibilità rappresentativa e scultorea, ma per la sua natura di elemento entropico in continua evoluzione, un oggetto statico potenzialmente attivo.
LA MOSTRA DI JIMMIE DURHAM AL MAXXI DI ROMA
Il MAXXI ha aperto la sua stagione espositiva del 2016 con Jimmie Durham. Sound and Silliness, un progetto composto da due lavori audio e due lavori video, rispettivamente girati e registrati in Italia; anche in questo caso, con un allestimento che dialogava con l’architettura sinuosa del museo. Mentre le opere Domestic Glass (2006) e I rondoni di Porta Capuana (2013) (quest’ultima realizzata a doppia firma con Maria Thereza Alves) toccano alcuni dei temi centrali nella poetica dell’artista coinvolgendo lo spettatore in una esperienza immersiva, i video, Fleur de pas mal (2005) e A Proposal for a New International Genuflexion in Promotion of World Peace (2007) rappresentano l’azione ripresa a rallentatore di una grande pietra che cade in un contenitore pieno di vernice e un inno alla pace che l’artista mima come protagonista di un cinema muto.
LA MOSTRA DI JIMMIE DURHAM ALLA FONDAZIONE PINI DI MILANO
Anche la Fondazione Adolfo Pini di Milano ha accolto, nel 2018, un progetto di Jimmie Durham concepito appositamente per lo spazio e le sue strutture. In Labyrinth, a cura di Gabi Scardi, l’artista ha portato all’esterno ciò che normalmente si trova all’interno del “corpo” dell’architettura, rendendo visibili i materiali che lo compongono. L’operazione rientrava nella poetica che caratterizza il lavoro di Durham riguardo al “rimosso”, a uno sguardo differente e rivelatore delle piccole cose e degli elementi della quotidianità a cui non si presta più attenzione. Al progetto abbinava un video del 1994, The Man Who Had A Beautiful House, legato a un’idea di abitare che viene prima e va al di là delle pareti di un edificio. “Le sue opere consistono, in molti casi, in arrangiamenti di materiali naturali o industriali, innestati gli uni sugli altri; materiali che normalmente sfuggono all’attenzione o risultano troppo al di sotto di ogni valore per essere classificati; queste opere equivalgono dunque a commenti sulla natura delle cose e sul loro valore”, ha spiegato la curatrice. “Alla base della sua pratica c’è infatti la volontà di restituire alle cose la possibilità di presentarsi nella propria essenza; di decostruire le sovrastrutture che le circondano, e con esse i concetti cardine della civiltà del consumo”.
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