La mostra-evento di Keith Haring a Pisa: recensione
Ripercorre la vita e la carriera artistica di Keith Haring la mostra allestita a Pisa, tra le sale di Palazzo Blu. Spaziando dalla metropolitana di New York alle parole di William Borroughs
Tra i finti valori della illustre società dei consumi e le frange più arrabbiate dell’emarginazione sociale e razziale nascono esperienze artistiche di grande espressività. Keith Haring (Reading, 1958 – New York, 1990) ha rappresentato uno degli artisti più iconici del Graffitismo di frontiera. È riuscito a far vivere l’arte fuori dalle gallerie e dai musei, dimostrando che fuori dalla nostra bolla esiste un mondo capace di sorprenderci. Nel 1989, Keith Haring, riconosciuto tra i padri della street art, soggiornò a Pisa per dipingere su una parete del convento di Sant’Antonio, il murale Tuttomondo. Il progetto nacque da un incontro tra l’artista e il giovane studente Piergiorgio Castellani avvenuto a New York nel 1987. La mostra a Palazzo Blu, a Pisa, rinsalda il legame tra Keith Haring e la città toscana, rendendo omaggio all’artista statunitense.
CHI È KEITH HERING
Nato il 4 maggio 1958 a Reading, in Pennsylvania, e appassionato disegnatore di cartoni animati, Haring ben presto si iscrive alla scuola d’arte di Pittsburgh. In seguito si trasferisce a New York e nel 1978 entra alla School of Visual Arts. Nello stesso periodo fa coming out. All’inizio la sua tela è la metropolitana di New York. Usa semplici segni grafici per disegnare bambini, animali, televisori, angeli e, dovendo agire all’insaputa degli agenti di polizia e degli addetti che popolano le stazioni della metropolitana di New York, crea a una velocità eccezionale. Quando vede un pannello pubblicitario inutilizzato, scende dal treno per disegnare di getto, poi risale. In seguito affina il suo stile, iniziando a pianificare i percorsi e a trascorrere tutto il suo tempo in metropolitana, dando forma a un linguaggio immediatamente riconoscibile, chiamato il “Codice Haring”. I disegni in metropolitana spopolano e Tony Shafrazi lo vuole alla sua galleria di Soho. Nel 1982 Haring inaugura la sua prima grande mostra e al vernissage partecipano Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Robert Rauschenberg e Sol LeWitt. Realizza sculture di grandi dimensioni per i parchi giochi e gli spazi pubblici, murales per i muri delle città, i locali notturni e gli ospedali pediatrici in giro per il mondo.
IL MESSAGGIO DI KEITH HARING
Molta della sua arte contiene messaggi politici legati all’AIDS, alla droga e all’Apartheid. Con il passare del tempo Haring matura, la materia della sua arte si fa più profonda e complessa, come si nota in Apocalypse, 1988. In quanto omosessuale che convive con l’AIDS, la politica e la paura che lo attanaglia diventano i temi dominanti dei suoi lavori. Nel 1986 gli viene commissionato un murale per il Muro di Berlino. Nello stesso anno realizza il murale Crack is Wack a East Harlem e tiene un workshop per bambini: il CityKids Speak on Liberty, nato per celebrare il centenario della Statua della Libertà. Più di mille bambini confluiscono da ogni parte di New York, dal Bronx, dalla United Nations School, una scuola per non udenti, dalla Phoenix House, un programma di riabilitazione da droga e alcol, per collaborare con lui. Sempre nel 1986 apre il Pop Shop, dove espone oggetti da lui stesso progettati con l’idea rivoluzionaria di vendere creazioni artistiche a un dollaro a milioni di persone, anziché venderne una per un milione di dollari a un solo collezionista. Dipinge soffitti, pavimenti, muri e colonne di vernice nera, trasformando lo spazio del locale in un unico grande dipinto tridimensionale. L’evento, durante il quale protagonista è anche la musica, più che un’inaugurazione sembra una nuova forma d’arte.
“La prima cosa che voglio fare è abbattere la barriera fra arte commerciale e arte tradizionale. Lo stesso vale per i disegni della metropolitana. La mia speranza è che, un giorno, i ragazzini che passano il loro tempo per strada si abituino a essere circondati dall’arte e che possano sentirsi a loro agio se vanno in un museo”, afferma Haring, che nel 1988 apre un Pop Shop a Tokyo.
La maggior parte dei lavori di Haring è senza titolo; l’artista preferisce lasciare al pubblico l’interpretazione dell’opera. Gli artisti che più lo ispirano sono Henri Matisse, Fernand Legér, Pablo Picasso, Jackson Pollock, Pierre Alechinsky, Jean Dubuffet, Clifford Still, Mark Tobey, Stuart Davis, Roy Lichtenstein e Andy Warhol.
Il 16 febbraio 1990 Keith Haring muore. Due giorni prima di morire, al minimo delle forze, prende un pennarello e tenta ripetutamente di disegnare qualcosa, poi finalmente ci riesce: l’immagine è il bambino radiante. Un neonato che sprigiona raggi di potere ricevuto dall’universo, possiede un’energia infinita, gattona incessantemente, verso ogni dove, sfidando ogni pericolo. Il bambino radiante rappresenta lo stesso Haring.
KEITH HARING. LA MOSTRA A PALAZZO BLU A PISA
Il percorso si divide in nove sezioni: si parte dalla sala che ci fa scendere nelle viscere della metropolitana newyorkese, si ha come la sensazione di sentirne gli odori, i rumori, è come se Keith Haring fosse lì con noi nel momento stesso in cui inizia a esprimere la sua arte. A seguire la fluorescenza, la luce soffusa, la pavimentazione a scacchi ci catapultano nei club tanto in voga negli Anni Ottanta a New York. Gli artisti usano le bombolette spray come pennelli, per le strade, nei locali. Tutta la città è la loro tela. Basquiat si firma con il nome di SAMO. Haring organizza un graffiti show al Mudd Club, con Futura 2000 e Fab 5 Freddy. I club diventano punti d’incontro culturale, diversi dalle gallerie, dove gli artisti possono confrontarsi. Tra il 1977 e il 1987, la discoteca Paradise Garage, all’84 di King Street a SoHo, apre solo nei fine settimana e ingaggia artisti del calibro di Larry Levan, leggendario DJ. Il Garage diventa il pantheon di Haring. “Non so se abbiate idea di quanto è importante il Paradise Garage, almeno per me e per la tribù di persone che lì hanno condiviso ben più di un’esperienza spirituale collettiva”, commentò Haring nel 1986. Nella sala Le storie è esposta l’opera The Story of Red + Blue, 1989, una serie di litografie realizzata espressamente per i bambini. Con Haring a Pisa apprendiamo come Castellani portò Haring in città e come nacque Tuttomondo, alla cui realizzazione partecipò l’intera città. Un’opera d’arte dove ogni cittadino si sente creatore e fautore di questa meravigliosa opera. Nella sala Simboli e icone troviamo opere come la serigrafia su carta Andy Mouse, 1986, una sintesi tra il Mickey Mouse di Walt Disney, uno dei personaggi preferiti di Haring sin da bambino, e Andy Warhol, suo intimo amico e mentore. Ogni opera è composta da una serie di quattro serigrafie su carta, firmate sia da Keith Haring sia da Andy Warhol. “In definitiva si tratta più che altro di un simbolo dell’America” (Keith Haring).
DALLA MUSICA ALLE PAROLE DI WILLIAM BORROUGHS
A emergere in mostra poi è il contributo di Haring al panorama musicale, accostandosi a molti generi, dall’hip hop alla house music, passando per il punk rock e la new wave. L’intensità del suo impegno creativo è evidente in Duck For The Oyster di Malcolm McLaren, del 1983, pieno di illustrazioni dell’artista. La cover per Without You di David Bowie ritrae due semplici figure che si abbracciano. Un singolo del 1988, registrato da un gruppo benefico giapponese per il concerto della pace di Hiroshima, esibisce un disegno di Haring con due figure danzanti metà uomini metà colombe. Star del calibro di Grace Jones e Madonna lavorano spesso con lui per realizzare video, costumi e performance dal vivo. La collaborazione con lo scrittore beat William Burroughs è alla base di Apocalypse, 1988, serie che offre un assaggio del suo inferno personale. Composta da dieci brani in prosa di Burroughs, Apocalypse è un’indagine del caos che distrugge il mondo. Haring elabora la descrizione della fine del mondo di Burroughs illustrando la sua interpretazione del testo. Ogni immagine, realizzata con la tecnica del collage, riprende le parole e utilizza pubblicità, riferimenti alla storia dell’arte e teologia cattolica per amplificare le scene di caos. Lo stesso anno a Haring è diagnosticata l’AIDS e l’opera Untitled (Self-Portrait), 1988, mostra la sofferenza, la paura, la forza con la quale l’artista affronta la malattia. Verrebbe voglia di entrare all’interno del dipinto per combattere al suo fianco. La mostra si chiude con The Blueprint Drawings, un portfolio di diciassette serigrafie che riproducono alcune delle prime e più pure narrazioni visive, realizzate nel 1990, a un mese dalla morte.
‒ Giada Fanelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati