Dalla terra a una mostra. Mike Nelson a Parma
Mike Nelson interpreta il mondo agricolo, e lo fa con un gran numero di installazioni costruite con materiali naturali. La sede della mostra è un palazzo costruito in epoca fascista e che vede davanti a sé un futuro promettente, di rigenerazione
“Vi diamo il benvenuto nel labirinto”: vengono accolti così i visitatori del Palazzo dell’Agricoltore, dove è allestita una mostra grandiosa di Mike Nelson (Loughborough, 1967) che si sviluppa sui cinque piani dell’altrettanto grandioso edificio. Le installazioni dell’artista inglese sembrano delle inaspettate emergenze che spuntano al termine di lunghi corridoi, sui pianerottoli della scala monumentale, in stanze vuote, alcune delle quali si affacciano sui tetti del centro storico di Parma offrendo visuali inedite, o ancora in un ambiente che conserva intatto un raro dipinto murale dai toni retorici caratteristici del Ventennio e in cui si elogia la “stirpe dura d’agricoltura”. Le “radici” di queste opere – composte da pezzi di legno, pietre, qualche utensile agricolo arrugginito – si rintracciano al piano terra, nel salone centrale illuminato da un solaio in vetro e che è affiancato dall’ambiente usato dall’artista come laboratorio/falegnameria. Tutto ha una parvenza di casualità, di cumuli accidentali di una materia che ha evidentemente un legame con la terra e con il lavoro nei campi. Ma c’è un fattore che conferisce un ulteriore significato a queste sculture, quasi dei ready made: i materiali naturali provengono infatti dalla bonifica di un terreno a poca distanza dalla città. Rocce, tronchi, rami e radici sono proprio gli elementi che rendono difficile la pratica dell’agricoltura, e l’artista, a proposito dell’operazione, afferma: “C’è qualcosa di molto viscerale nello ‘sgombero’ di uno spazio. Gli oggetti assumono una particolare urgenza o importanza che fino a quel momento era sopita”.
LE ORIGINI DEL PALAZZO DELL’AGRICOLTORE
Fino a qui, la mostra in quanto tale. Ma non è tutto, anzi. Il Palazzo dell’Agricoltore fu costruito a partire dal 1939, in pieno regime fascista, con lo scopo di ospitare al suo interno tutte le istituzioni agricole della provincia. Nei decenni successivi la destinazione d’uso cambiò, accogliendo la sede del Banco di Napoli e poi del Provveditorato agli Studi di Parma, oltre ad altri enti pubblici e privati: e di queste funzioni restano ancora ampie tracce da cui sprigiona un’atmosfera densa di “burocrazia”. Non si può peraltro non restare colpiti dalla monumentalità novecentesca, dagli splendidi pavimenti in palladiana con diversi marmi, e poi da intonaci a colori vivacissimi di epoca senza dubbio più recente.
UN FUTURO RIGENERATIVO
Il colpo di scena si data però al 2020, quando l’intero palazzo venne acquistato dalla società Immobiliare Beneficium, di cui sono titolari le famiglie Chiesi (a capo di una delle grandi aziende farmaceutiche italiane) e Bollati (fondatori di Davines, azienda che produce, in un’ottica green, prodotti cosmetici). Gli stessi nomi peraltro risultavano tra i main sponsor della mostra Il terzo giorno – medesimo il curatore, Didi Bozzini – e costituiscono i pilastri, con altri imprenditori della zona, dell’associazione “Parma Io ci sto”, che ha non poco peso in città. Le intenzioni della società immobiliare? Trasformare il centralissimo Palazzo dell’Agricoltore in un “hotel rigenerativo”, “volano per la città e il territorio, in grado di catalizzare persone, cultura, artigianato, valori positivi e socializzazione attorno a un concetto esperienziale”, si legge nella presentazione della mostra di Nelson, che a questo punto può essere letta anche come efficace biglietto da visita di un progetto ben più vasto. Per visitare l’hotel e scoprirne il suo potere rigenerativo bisognerà aspettare il 2023, tuttavia, date le premesse e la sensibilità verso l’arte contemporanea dei due virtuosi imprenditori, la speranza è che a Parma in un futuro prossimo nasca finalmente un polo catalizzatore – non foss’altro che solo per gli stimoli che possono nascervi attorno – per i linguaggi espressivi di oggi e degli anni a venire.
– Marta Santacatterina
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