Ibrahim Mahama, il vincitore del Premio Pascali 2021
Già protagonista nel Padiglione del Ghana alla Biennale di Venezia del 2019, Ibrahim Mahama coniuga una riflessione sul passato coloniale a un’indagine sul presente. Usando la materia come strumento e linguaggio
Il Premio Pascali 2021, XXII edizione, è stato attribuito a Ibrahim Mahama (Tamale, 1987) e assegnato dalla commissione presieduta da Rosalba Branà, direttrice della Fondazione Pascali, da Adrienne Drake, direttrice della Fondazione Giuliani di Roma, e da Nicola Zito, storico dell’arte e curatore della Fondazione Pascali. A Polignano a Mare, sede della Fondazione, è in corso la personale dell’artista ghanese, concentrata sulla potente installazione nel salone centrale, rivestito di sacchi di iuta cuciti in paramenti che inquadrano il vuoto. Per Mahama la iuta è un materiale politico con cui mette a fuoco pratiche imperialiste e commerci, prima coloniali e oggi globali, documentati nei timbri, negli strappi, e nei nomi degli indigenti proprietari, marcati nelle texture usurate.
LA RICERCA ARTISTICA DI IBRAHIM MAHAMA
Stimmate di atavico sfruttamento, i sacchi che seguono le rotte commerciali tra l’Africa e il resto del mondo, importati dalla Ghana Cocoa Boards per trasportare le fave di cacao, nel mercato interno sono riconvertiti in oggetti multifunzionali o servono a conservare e trasferire altri prodotti. Mahama interviene nel processo di trading comprando sacchi nuovi e barattandoli con quelli usati che certificano storie di merci e migrazioni. Ben evidenziate negli arazzi sontuosi, orditi con le solerti congiunzioni e usati per esempio, alla 56esima Biennale di Venezia, nel 2015, per rivestire l’Arsenale, a Documenta 14, nel 2017, per gli storici Torwache, le torri di guardia di Kassel e per i bastioni di Porta Venezia, a Milano, nel 2019.
Scontati i rimandi ai famosi impacchettamenti di Christo, sebbene con differenti attribuzioni di senso, e a Burri, che nei sacchi trasferì tormentate testimonianze esistenziali. A riguardo Mahama chiarisce: “Mi interessa guardare alle implicazioni artistiche e politiche di questi materiali. Cosa succede quando raccogli diversi oggetti da luoghi con storie e ricordi specifici e li metti insieme per formare un nuovo oggetto? Mi interessa come crisi e fallimento vengano assorbiti in questo materiale con un forte riferimento alla transazione globale e al modo in cui funzionano le strutture capitalistiche. (…) La speranza è che i loro residui – macchiati, rotti e abbandonati, ma portatori di luce – possano condurci verso nuove possibilità e spazi oltre”.
IL GHANA SECONDO MAHAMA
Nelle sue monumentali installazioni si avvale pure di “scatole per calzolai” (ne impegnò un gran numero per il padiglione del Ghana alla Biennale di Venezia nel 2019), montate con pezzi scartati dai lustrascarpe locali. Testimonianze di una pratica di sopravvivenza più che di un lavoro, diffusa nel suo Paese e tradizionalmente di pertinenza delle comunità sottomesse, servono a rivendicare identità calpestate, diversamente dagli spiazzanti accumuli di paccottiglie delle avanguardie del Novecento, dadaiste o poveriste, vincolate ad altro genere di riflessioni.
Perno della sua ricerca sono anche i progetti ad alta valenza sociale, responsabili della scelta di operare e risiedere nella sua terra. In Ghana Mahama compra e ristruttura edifici abbandonati, stigma di un devastante passato coloniale e li riconverte in strutture culturali, espositive e di formazione per le comunità indigene. A Tamale, capitale della regione settentrionale del Paese, nel 2019 ha fondato il Savannah Center for Contemporary Art (SCCA), allo stesso tempo centro di ricerca, luogo espositivo e residenza per artisti, con progetti di arte contemporanea che tengono insieme sperimentazione e impegno sociale.
MAHAMA A POLIGNANO A MARE
Approfondimenti sono disponibili nel video in mostra sul recupero di un edificio industriale, ribattezzato Nkrumah Voli-ni (Nkruma, nome del primo leader post-coloniale del Ghana, e “volini”, nella sua lingua “dentro il buco” in riferimento alla fama sinistra del luogo), acquistato dall’artista e riqualificato da maestranze locali. Ha scelto di mantenere la fauna stanziatasi all’interno, soprattutto le colonie di pipistrelli, animali simbolo della diffusione pandemica e protagonisti di alcuni lavori. Dove documenti sulla storia dell’edificio, mappe dell’era coloniale, ricevute, banconote, ordini e libri mastri fanno da sfondo a sagome di pipistrelli ritagliati e disposti in decorative parate.
Pipistrelli anche nella Ex Chiesetta, nel centro storico di Polignano a Mare, che ospitò le prime edizioni del Premio Pascali, dal 1969 al 1979. Qui propone Lazarus, adattamento dell’installazione presentata quest’anno alla White Cube di Londra, con gigantesche ali di pipistrello assemblate in loco, in un workshop di Angela Varvara con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bari. Costruite con tondini metallici e sacchi contaminati da grasso e polvere nera, pendono severe e minacciose, denunciando paure e indicando possibili cambiamenti di rotta per diverse e sostenibili convivenze tra umani e animali.
– Marilena Di Tursi
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