La lettera aperta di Renato Barilli a Cecilia Alemani
Dopo la lettera a Eugenio Viola, curatore del prossimo Padiglione Italia, il critico bolognese si rivolge a Cecilia Alemani, direttore della Biennale Arte 2022
Cara Alemani,
dopo essermi rivolto ad Eugenio Viola, curatore del Padiglione Italia alla prossima Biennale, salgo di livello e ora mi rivolgo a lei, con dei consigli che ovviamente resteranno lettera al vento, senza alcun obbligo da parte sua di accoglierli in qualche misura.
Avevo già bofonchiato un poco quando il Presidente uscente, Baratta, rompendo gli indugi burocratici e senza attendere la nomina del suo successore, l’aveva senz’altro eletta all’importante incarico. Poteva dare fastidio un fatto di parentela, dato che credo per la prima volta negli annali della Biennale Arte sia successo che un parente stretto di un precedente direttore, addirittura la moglie, fosse elevata allo stesso incarico. Ma bisogna riconoscere che pure lei, al pari del coniuge Gioni, ha tutti i titoli che ci vogliono per un incarico del genere. E proprio Gioni se l’era cavata molto bene, quando era stato il suo turno, del resto è persona piena di deferenza nei miei confronti e dell’insegnamento al DAMS che a suo tempo gli ho impartito.
Eppure, nonostante la stima che io stesso a mia volta gli avevo espresso, non avevo lesinato critiche al suo indirizzo, in quanto mi era sembrato che scegliesse un tema generale un po’ troppo arrischiato e sofistico, quello dei collezionismi praticati a vario titolo dagli innamorati dell’arte. Avevo detto che aveva creato una bellissima mongolfiera, che però aveva staccato gli ormeggi dal suolo dell’attualità per librarsi lassù nell’etere.
“Mi raccomando, eviti l’errore disastroso compiuto dal suo predecessore di aver eliminato appunto una qualsiasi differenza tra i Giardini e le Corderie”.
Non vorrei che lei, cara Alemani, seguisse troppo da vicino l’esempio del marito, infatti parimenti un po’ troppo selettivo e aristocratico mi pare uno dei temi da lei annunciato, erigere un monumento a una pittrice surrealista quale Leonora Carrington. Senza dubbio è opportuno insistere in una piena valorizzazione del contributo femminile all’arte, ma il movimento surrealista non mi pare che sia di piena attualità, e non vorrei che occupasse un po’ troppo le stanze del padiglione centrale, in cui consiste pur sempre il piatto forte di ogni Biennale. Ma certo è giusto collocarvi una qualche presenza che si consideri decisiva e piena tuttora di tangenze coi nostri problemi.
Mi raccomando, eviti l’errore disastroso compiuto dal suo predecessore di aver eliminato appunto una qualsiasi differenza tra i Giardini e le Corderie, anzi, le consiglio di ristabilire la gerarchia tra i due spazi, nelle sale di Sant’Elena si mettano i casi salienti e determinanti, alle Corderie si riprenda la bella tradizione dell’Aperto, largo cioè alle presenze giovani e alle nuove generazioni.
LA QUESTIONE PADIGLIONE ITALIA
So bene che non è nelle sue possibilità, ma ci starebbe tanto a proposito che lei riportasse proprio negli spazi dei Giardini la nostra partecipazione nazionale, come è avvenuto tante volte, salvandola dalla masochistica ghettizzazione che da qualche tempo le infliggiamo andando a riporla nel punto più lontano dell’Arsenale.
Beninteso, io sarò un immancabile visitatore, pronto a renderle i meriti dovuti ma anche qualche rampogna, se inevitabile.
‒ Renato Barilli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #62
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