Folklore e natura si incontrano nella mostra di Beatrice Celli a Nizza
L’intervento di Beatrice Celli a Villa Arson scardina l'idea di hortus conclusus, trovando nella “selvaticità” uno strumento per leggere la natura
Il Passage des Fougères, spazio dedicato ai giovani artisti emergenti del centro nazionale d’arte contemporanea di Villa Arson, viene trasformato in un giardino allegorico da Beatrice Celli (L’Aquila, 1992). Le jardin des Allégories si presenta come un percorso magnetico fra tradizioni vernacolari, presenze demoniache, apparizioni rurali, suggestioni ancestrali, sfumature invisibili ai cinque sensi, litanie e sussurri.
In un periodo in cui molti sono stati costretti in spazi angusti, la presenza di aree verdi private si è rivelata un lusso a cui pochi potevano accedere. L’artista, grazie a un’acuta indagine, riesce a concepire un’esposizione che interroga la sfera spazio-temporale in maniera puntuale. Villa Arson, prima di essere scuola e centro d’arte contemporanea, ospitava un giardino all’italiana (il riferimento alle radici dell’artista qui è lampante), per questo Celli orchestra un giardino delle allegorie dal carattere selvatico, non addomesticato. Le jardin des Allégorie, inoltre, si offre come luogo ameno, dove potersi rifugiare e respirare. Dopo e durante l’esperienza dei lockdown, si “coltivano visioni alternative”; in maniera simile, nel Decameron, un gruppo di giovani fiorentini si ritirava in una villa sulle colline: per fuggire alla peste, lenire le ferite di una società esplosa, raccontare la bellezza della convivenza in un circuito protetto.
L’ALLEGORIA SECONDO BEATRICE CELLI
Partiamo dall’elemento sonoro, fortemente presente in quest’esposizione. Si percepisce subito lo scroscio cristallino di una fontana. Ispirata agli stemmi araldici di matrice barocca, questa installazione ‒ croce e delizia per l’artista ‒ si intitola Smaragos, uno dei cosiddetti demoni della ceramica, “il distruttore”. Il titolo allude alla sfida tecnica che ha messo alla prova l’artista (e cinque artigiani) per la sua realizzazione, data la delicatezza del recipiente in ceramica e l’innesto dell’elemento idrico ‒ l’acqua fuoriesce da un canale posto nell’ombelico. Rappresenta un essere alato a testa in giù, dalla natura chimerica; il corpo nudo ricorda Marsia scorticato da Apollo. Il soggetto richiama, a posteriori, gli stemmi di due famiglie nobili presenti a Castelli: gli Orsini e i Colonna. Un secondo bassorilievo in ceramica attira l’attenzione. Si tratta dell’opera scelta per il manifesto della mostra, Sive mas sive foemina, che rappresenta l’uomo selvatico scaltro: il titolo si riferisce alla formula magica usata dai romani per attirare i Genius loci, entità considerate di genere neutro. La sua estetica è tribale ed eclettica, con riferimenti alla cultura medievale ma anche primitivista; una sorta di sciamano che, varcando un portale temporale, insiste sulla nostra attualità.
Ripercorrendo i passi della mostra Pandemonium (tenutasi a Castelli, in Abruzzo), Celli posiziona, in corrispondenza dell’ingresso, un gufo appollaiato su un trespolo, finemente intagliato nel legno. La scultura riprende una credenza folcloristica abruzzese: si dice che, se il volatile notturno bussa tre volte alla porta di casa, una persona morirà. Associando il gufo alle stelle filanti ‒ di un carnevale che non è stato possibile festeggiare ‒, l’artista vuole sdrammatizzare e farsi beffe di numerose rappresentazioni angoscianti. Pandemonio è la capitale infernale del poema Il Paradiso Perduto di John Milton: “L’idea del titolo è nata perché mia nonna, invece di riferirsi al Covid come pandemia, continuava a ripetere lo pandemonio”, dice l’artista.
BEATRICE CELLI E I RITUALI LITUANI
Nel percorso espositivo è possibile attivare un ulteriore elemento sonoro: le campane (realizzate in ceramica), segno di conquista del tempo e dello spazio da parte delle istituzioni ecclesiastiche. La superficie, tattilmente sofisticata e manipolata con perizia dall’artista, invita a essere toccata per essere esperita a pieno. I colori pastello contrastano e giocano con le forme mostruose. Nulla è lasciato al caso: le pareti sono state infatti tinteggiate con il verde menta, “popolare durante l’epoca barocca e anche negli Anni Cinquanta”, per denotare leggerezza, far emergere le ceramiche e i contrasti tonali delle opere.
Nell’ultima sala c’è un’installazione complessa, frutto di una recente residenza dell’artista in Lituania. Così racconta Beatrice Celli: “Quando ho presentato il mio lavoro nel giardino del Museo del Diavolo, ho riattivato con il pubblico una vecchia credenza lituana che si usa per ‘incantare’ il denaro. Ho chiesto loro di seppellire alcuni centesimi in una buca, mentre ripetevano la frase ‘Diavolo Diavolo vieni al denaro, Diavolo Diavolo ecco il denaro!’ Il giorno dopo sono tornata a prendere le monete e ora sono sospese sui corni dell’abbondanza (Grascia Corna) nell’ultima sala espositiva”.
SUONI E ODORI NELL’OPERA DI BEATRICE CELLI
In questa sala, le pareti sono ricoperte da foglie di felci ‒ non a caso lo spazio espositivo si chiama Passage des Fougères (felci) ‒, appositamente disposte dall’artista per trasportarci ai limiti di una foresta. Dal soffitto pendono cornucopie rivestite con muschi e licheni, mentre l’eco di versi ipnotici si diffonde nell’ambiente. Sono formule antichissime, parte della pratica dell’Užkalbėtojai, che consiste nel guarire malattie, ferite, ustioni attraverso intonazioni musicali. Persino le monete e i centesimi, inclusi nell’installazione, sono stati “incantati dal diavolo” durante un tradizionale rito lituano. L’elemento olfattivo, oltre a quello sonoro, risulta fondamentale: paprica, prezzemolo e menta si fondono per evocare l’odore umido del bosco. Infine, l’opera Temperamental Confessional, struttura ibrida tra il padiglione da giardino (microcosmo che allude a un macrocosmo) e il confessionale, è decorata con bassorilievi intagliati nel legno. La cifra stilistica di Celli si adatta al materiale con maestria, il tratto che ne risulta è grottesco ma anche “dinamico, impulsivo e fresco”: davanti alle case lituane si trovano spesso grandi totem in legno con simboli e storie personalizzate, scolpite sulla superficie.
‒ Giorgia Basili
Nizza // fino al 30 dicembre 2021
Le jardin des Allégories
VILLA ARSON
20 Av. Stephen Liegeard
www.villa-arson.org
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