A Torino la mostra che celebra l’unicità di Luigi Ontani
Antonio Grulli racconta in prima persona la mostra di Luigi Ontani alla GAM di Torino. E approfondisce la carriera e il carattere di un artista che ha precorso le dinamiche del web e del digitale
Alcuni mesi fa, mi sono trovato con Luigi Ontani (Vergato, 1943) nel suo studio romano. Mi ha chiesto se volevo vedere le carte a cui stava lavorando in quel periodo e ha tirato fuori una grande cartella. Ha iniziato a sfilare dal suo interno una serie di bellissimi acquerelli disegnati a china, dipinti con nudi di ragazzi dalle origini differenti. Io gli ho mostrato delle foto di alcuni ritratti che mi aveva fatto un’amica pittrice poco tempo prima e Luigi ha immediatamente identificato alcuni elementi perturbanti all’interno di questi, con la sua classica velocità intuitiva di sguardo in grado ogni volta di stupirmi. Da lì è nata una bellissima chiacchierata sul genere del ritratto che ancora porto con me.
LA MOSTRA DI ONTANI A TORINO
Le opere da lui mostrate erano solo una piccola parte delle 130 ultimate da Ontani di recente, ma iniziate in alcuni casi negli Anni Ottanta e Novanta, oggi esposte nello spazio chiamato Wunderkammer alla GAM di Torino, all’interno della mostra curata da Elena Volpato. Tra queste, 18 acquerelli portano al loro interno il fiore dell’Alam Jiwa, il cui significato in balinese è “natura dell’anima”, da cui la rassegna prende il nome: Alam Jiwa & Vanitas. È impressionante come queste figure, sebbene stilizzate e fortemente sublimate, evochino e portino con sé la loro natura di ritratti. In molti momenti infatti si percepisce che il soggetto ritratto esiste o è esistito da qualche parte del mondo. Quel legame magico tra artista e modello permane nonostante tutto; non c’è naturalismo, come sottolinea Elena Volpato nel suo testo di accompagnamento, esiste invece una percezione dello spirito della natura e della natura dell’uomo.
Penso che si tratti della mostra più bella e più importante da vedere in questo momento in Italia; nonostante non le abbia viste tutte, credo con forza di poterlo affermare. Non perché sia la mostra più attuale, ma per il motivo opposto, ovvero il suo essere anacronistica, il suo andare contro il tempo senza mai correre, riuscendo a non farsi catturare, proprio come fa Ontani con la sua opera da molti anni: non siamo di fronte alla cronaca di questi tempi, come spesso sono tentati di fare gli artisti: “Ho impugnato un ferro da stiro per togliere le rughe/Dal gigantesco corpo in cui vivo da tempo/Una farfalla per i bei colori mi ha distratto per un poco…”, per usare le parole del Maestro. È difficile trovare artisti più influenti di lui nel contesto artistico attuale, in Italia e all’estero. Si tratta di un’influenza ancora in fase crescente, non compiuta, ne vedremo i frutti nei prossimi anni ma i segni sono già evidenti.
ONTANI E LE NUOVE GENERAZIONI DI ARTISTI
È incredibile la coincidenza di gusto tra le sue opere e le ultimissime generazioni di artisti nati nel mondo del web; e diventa quasi banale creare un collegamento tra l’artista che per primo ha indagato la virtualità come nuova potenzialità dell’arte e la generazione che per prima vi è cresciuta dentro grazie alle nuove tecnologie, percependola naturalmente come una parte inestricabile del mondo. Ma ritrovo questo legame con molti giovanissimi artisti incontrati anche nel desiderio di utilizzare senza sosta tecniche sia antiche sia nuove, spingendosi fino ai confini in cui anche ciò che per le masse viene identificato come “cattivo gusto” diventa possibile portale di nuove scoperte, nuove forme, nuovi sogni.
Sin dall’inizio degli Anni Settanta, il lavoro di Ontani riesce ad andare oltre le facili distinzioni tra occidente e mondi extra occidentali, fondendosi con culture, immagini e linguaggi per noi ancora lontani, senza cadere nell’ideologizzazione del protezionismo altrui, nazionalistico e post coloniale così dilagante in questi anni. La sua arte riesce a estromettersi dalla facile dicotomia di locale e globale: per Ontani, Riola di Vergato e New Delhi non sono in contrapposizione, anzi. Percepiamo come oggi possa essere più esotico un piccolo paese degli Appennini rispetto alle megalopoli o ai luoghi del turismo di massa orientali. Il Vergatello ha lo stesso potenziale evocativo dei grandi fiumi indiani, e possono convivere nelle sue opere esattamente con la stessa valenza. E questo lo capiscono meglio gli artisti molto giovani rispetto alle generazioni precedenti, cresciute con il mito di un’internazionalità esasperata, in cui il paese di origine doveva essere rinnegato per mostrarsi uomini globali. E il mondo al di fuori dell’occidente ha ricambiato l’attenzione di Ontani: basti pensare che a oggi è l’unico artista non balinese ad aver ricevuto l’invito a realizzare una delle sculture, legate alla tradizione induista, portate in processione e poi date alle fiamme durante la cerimonia del Nyepi, per la quale ha creato un “ibridolo” intitolato Ogoh – Ogoh.
FOTOGRAFIA E CERAMICA SECONDO MORANDI
In mostra sono rimasto profondamente toccato da tre piccole foto del 1977 intitolate Lord Vanity. Si tratta di una delle sue performance compiute nello spazio pubblico, in questo caso per la mostra L’Attico in viaggio. Vediamo l’artista muoversi come un’apparizione nello spazio sacro del Tempio indiano Ekambareswarar a Kanchipuram, e la sua nudità è coperta solo da una grande collana di narcisi bianchi.
Assieme a questa e ad altre fotografie, lenticolari e non, risalenti a diversi periodi, convivono opere diverse, tra cui la ceramica in cui viene riprodotto uno dei vasi di fiori di Giorgio Morandi. Il vaso è posizionato sopra la tavolozza dei Colori Viventi ontaniani, soggetto fondamentale nel suo percorso, divenuta ripiano di tavolino sorretto da tre pennelli/gambe (l’opera ha fatto parte di una mostra personale che Ontani ha dedicato a Morandi, tenutasi all’interno dello studio di quest’ultimo a Grizzana Morandi).
La ceramica e la porcellana sono un altro esempio dell’influenza imprescindibile di Ontani sull’arte di oggi. Si tratta di materiali da lui recuperati molti decenni fa, in cui si è immerso con sicurezza, in un periodo in cui sembravano ormai qualcosa di datato, da abbandonare. Sono invece tornate a essere oggi un linguaggio centrale soprattutto per l’ultimissima generazione: molti mi hanno detto apertamente di aver iniziato ad amarle dopo aver visto le sculture di Ontani. Ne sono un altro esempio la grande serie di libri sulle cui copertine sono stampate opere del Maestro con la tecnica della fotoceramica. In mostra ve ne sono due ad accogliere il visitatore come dioscuri posizionati agli angoli dell’ingresso dello spazio Wunderkammer. Uno è la riproduzione in ceramica della trilogia de I nostri antenati, scritta da Italo Calvino e pubblicato dalla casa editrice torinese Einaudi. All’angolo opposto è invece installato il rifacimento del fondamentale libro di RoseLee Goldberg (critica d’arte e creatrice della manifestazione Performa) intitolato Performance Art: From Futurism to the Present (1988), per la cui copertina della prima edizione venne scelta proprio una sua opera, segno di come l’opera di Ontani abbia avuto un ruolo seminale per la scena artistica di New York, sin dagli Anni Settanta, di cui continuiamo ancora oggi a vedere i risultati in molti artisti affermati.
Il centro della mostra è dominato, e non poteva essere altrimenti, da una delle sue erme, ZarathustrAsso (del 1997), come sempre in ceramica faentina della bottega Gatti. Rievoca la vicenda di Nietzsche a Torino, secondo la quale il filosofo sarebbe accorso ad abbracciare e baciare un cavallo (nella scultura con la sembianza del cavallo straziato di Guernica) percosso con violenza da un cocchiere.
Desidero chiudere sottolineando il lavoro di Elena Volpato, come sempre tra i migliori critici e curatori in circolazione, non solo nei confini nazionali. La cura e la precisione di questa mostra e dei testi che l’accompagnano, assieme al suo lavoro spesso silenzioso all’interno della GAM di Torino (basti pensare a quanto fatto sulla collezione e sulla creazione della sezione di video, una delle pochissime esistenti) non saranno mai abbastanza lodati.
‒ Antonio Grulli
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