Gian Maria Tosatti pigliatutto. L’editoriale di Renato Barilli
Il critico bolognese parte dalle molteplici nomine assegnate a Gian Maria Tosatti – unico artista del prossimo Padiglione Italia alla Biennale di Venezia e unico direttore della Quadriennale di Roma – per analizzare i limiti dell’istituzione capitolina
In altro luogo ho giù espresso tutta la meraviglia per due nomine alquanto singolari piovute sull’artista Gian Maria Tosatti, che magari sarà un genio, ma a insaputa mia e ritengo di molti altri colleghi. Eppure su di lui ha puntato secco il curatore del Padiglione Italia alla prossima Biennale. Forse meglio così che certe eccessivamente folte presenze in altre occasioni, ma anche la scelta monografica mi sembra eccessiva. Inoltre sullo stesso Tosatti è piovuta una nomina ancor più singolare, di unico direttore della prossima Quadriennale, anche in questo caso evento, credo, particolarmente improprio.
Delle tre istituzioni di casa nostra, la più anziana, la Biennale di Venezia, marcia a piene vele ed è divenuta un modello per la mole di sorelle nate in tanti altri Paesi. La periodicità biennale è risultata la più opportuna e favorevole. Negli Anni Venti le aveva fatto seguito un’altra Biennale, nata prima a Monza e poi trasferitasi a Milano, specializzandosi in architettura e design. Poi, nel dopoguerra direi che ha commesso, per dirla con Dante, “per viltà il gran rifiuto”. Ha ritenuto di non poter più presentare in architettura e design un panorama mondiale ogni due anni, e dunque è arretrata alla misura triennale, da cui il suo nome, ma la rivale Biennale di Venezia ha ringraziato e ha dimostrato di poter affiancare alle consorelle anche questo settore, con esito ottimo.
I LIMITI DELLA QUADRIENNALE DI ROMA
La terza delle istituzioni nazionali è la Quadriennale, nata negli Anni Trenta, il cui compito sarebbe di fornire per quel periodo una rassegna e valorizzazione dell’arte nostrana. Per qualche tempo ha fatto abbastanza bene il suo dovere in questo senso, ma poi è impazzita, allungando la periodicità, assumendo coorti di critici e storici dell’arte per lo più lottizzati dai vari partiti – io ne so qualcosa, in quanto ho partecipato più volte a questi raduni mal assortiti, che quasi sempre tradivano il loro compito. Per cui, diciamolo pure, fra le tre manifestazioni, la Quadriennale resta la grande malata, ma di sicuro il modo migliore per guarirla sarebbe di rispettarne i criteri di fondazione, del tutto contrari a una guida solitaria, lasciata al beneplacito di una singola personalità, fosse pure di eccezione, il che appunto non pare essere la statura del nostro Tosatti.
La Quadriennale dovrebbe rispettare il mandato che le è stato dato, di fornirci cioè ogni quadriennio una sintesi attendibile di quanto è successo tra di noi, quindi, poniamo, una retrospettiva di omaggio ai Maestri nel frattempo deceduti, un quadro degli “ismi” nati nel periodo, attraverso i loro migliori esponenti, il tutto allestito nello spazio del Palaexpo di Roma, che risulta il più efficiente come contenitore. Mai procedere, invece, a permettere a qualcuno una selezione troppo personale, come fosse il curatore di una qualche mostra regionale.
“Gian Maria Tosatti magari sarà un genio, ma a insaputa mia e ritengo di molti altri colleghi”.
Devo anche segnalare una circostanza singolare e incredibile. Il fine istituzionale della Quadriennale sarebbe la difesa della nostra arte anche all’estero, ma lo statuto impedisce a chi la dirige temporaneamente di fare viaggi internazionali nel tentativo di portarvi queste antologie del nostro meglio. Un compito del genere è rimasto nelle mani del Ministero degli Esteri e dei relativi istituti di cultura, alcuni anche con spazi ragguardevoli, ma tentati di
‒ Renato Barilli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #63
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