Lindsay Harris è la nuova direttrice artistica dell’American Academy di Roma. L’intervista
Il nuovo ruolo di Harris in concomitanza con i Winter Open Studios dell’accademia, in cui hanno presentato le proprie opere borsisti americani e italiani, come Firelei Báez, Eric N. Mack e William Villalongo, Phoebe Lickwar, Mireille Roddier, Keith Mitnick, Valerio Morabito, Tina Tallon, Igor Santos e Autumn Knight.
È tempo di Winter Open Studios all’American Academy di Roma, dove è stata appena nominata direttrice artistica Lindsay Harris. Qui è possibile apprezzare le installazioni di borsisti americani e italiani quali Firelei Báez, Eric N. Mack e William Villalongo, Phoebe Lickwar, Mireille Roddier e Keith Mitnick, Valerio Morabito, e Tina Tallon. Inoltre, in occasione dell’apertura degli Studios, si sono svolte la performance musicale di Igor Santos e quella relazionale di Autumn Knight, legata al work in progress Niente/Nothing #5. L’Istituzione sta abbracciando un’ottica sempre più inclusiva, ricca di contaminazioni interdisciplinari, con particolare attenzione alle recenti battaglie antirazziste e con coinvolgimento di artisti afroamericani, così come tematiche di genere, sociali, legate alle risorse ambientali e a nuove visioni dello sviluppo urbano. Abbiamo scambiato una parola con la direttrice artistica dell’accademia.
Qual è la tua formazione?
Sono storica dell’arte, mi sono laureata all’Istituto di Fine Arts di New York, e curatrice. Come storica della fotografia, ho lavorato alla National Gallery of Art di Washington, nel dipartimento di fotografia, e ora ho la possibilità di lavorare con artisti contemporanei. Sono felice di collegare le esperienze contemporanee nel contesto storico.
Come sei diventata direttrice artistica?
Sono stata prima borsista di studi moderni italiani nel 2013-14 e poi professoressa di Studi Umanistici all’Accademia, è il sesto anno che mi trovo qui. Questo è il mio terzo incarico, il più bello perché mi dà modo di lavorare con gli artisti e vedere come loro rispondono a Roma. Gli studiosi spesso e volentieri vengono qui già con progetti specifici, per svolgere ricerca negli archivi, vedere alcuni edifici, sono aperti ma focalizzati. Non essendo alcuni mai stati in Italia, vengono con idee e modi di lavorare che non c’entrano nulla con questa realtà, sono aperti a cambiare. Ad esempio, se certi materiali negli Stati Uniti sono facilmente reperibili qui non si riescono ad ottenere: questo li porta a sperimentare nuovi metodi e ad incentivare lo scambio tra di loro e con la città.
Come ti vorresti muovere nei prossimi anni, su cosa punterai per il tuo “mandato”?
La mia prima responsabilità è aiutare i borsisti a collegarsi a Roma, alle sue risorse, non solo con la bellezza e l’architettura ma con la gente, che può essere una fonte di ispirazione inaspettata. Questo è un momento di transizione per gli USA, tra Covid e racial justice, nel mio incarico vorrei portare queste discussioni a Roma e trovare delle strade per metabolizzare in maniera positiva un’esperienza di distanza rispetto al Paese d’origine.
Ti interessa coinvolgere uno studioso in particolare?
Gli Stati Uniti scelgono i borsisti, ma possiamo invitare i Residenti. C’è un’architetta che vorrei coinvolgere: Yolande Daniels, una delle fondatrici di studioSUMO. Lo scopo è radunare qui artisti-compositori, landscape designer, architetti, professionisti connessi a tutte le arti- che possano aiutare i borsisti, in qualità di modelli-mentori, ad incanalare la loro energia. I borsisti vengono qui con molta carica ma a volte sono disorientati, questo può creare sconforto, io vorrei proteggerli.
Ci sono problemi o qualcosa che vorresti cambiare all’Accademia?
Non lo chiamerei problema, tuttavia, c’è quest’idea che Roma offra lezioni solo negli studi classico-rinascimentali…una Storia dell’arte e dell’architettura di tipo canonico. Credo invece molti borsisti cerchino input diversi: vogliono conoscere la situazione dei migranti che sbarcano a Lampedusa – infatti vengono smistati nei centri per rifugiati – o comprendere quale sia la rappresentazione del Moro nella fontana di Piazza Navona. Vorrei essere in grado di supportarli nell’approfondimento di questi aspetti.
Cosa pensi della natura multidisciplinare degli artisti degli Open Studios?
Ciò che rende il loro lavoro forte è che è possibile averne un impatto immediato ma dietro c’è ricerca, allegoria, storie specifiche, una ricchezza che si rivela man mano dedicando più tempo ad ogni artista.
-Giorgia Basili
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