Le architetture tattili di Fulvio Morella in mostra a Milano
Vietato non toccare le opere d’arte: nello showroom di Gaggenau a Milano, le opere lignee di Fulvio Morella raccontano la storia dell’architettura e delle stratificazioni della civiltà. Un percorso in cui vista, visione, percezione e materia si alternano attraverso un linguaggio sincretico.
Quella di Fulvio Morella (Grosio, 1971), ospitata da Gaggenau a Milano, è una mostra pensata per chi guarda con gli occhi, ma anche con la punta delle dita. Per chi vede nel braille un delicato elemento decorativo, oppure per chi lo considera come la struttura portante per la comprensione dell’opera e della realtà. Pars Construens, a cura di Sabino Maria Frassà, è una narrazione attorno a un mondo tangibile che reca in sé l’invisibile, uno sguardo a volo d’uccello su architetture che nascondono tra le proprie fondamenta una stratificazione che abbraccia secoli e secoli di storia.
LA MOSTRA DI FULVIO MORELLA A MILANO
In occasione del 200esimo anniversario dall’invenzione della scrittura creata da Louis Braille affinché anche gli ipovedenti potessero fruire di testi scritti, Fulvio Morella ha prodotto la serie di sculture Blind Wood, un articolato progetto artistico-culturale in cui vige il concetto di lavoisieriana memoria “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” o anche la “pars destruens” e la “pars construens” di Bacone, il quale usò queste parole per descrivere le due tensioni opposte che coabitano nell’architettura. Si costruisce, si demolisce, si trasforma: l’architettura – così come le città e la quasi totalità degli insediamenti umani ‒ è una stratificazione del passato giunta fino al presente, che Fulvio Morella riduce nella sua forma più essenziale e propone da un inedito punto di vista, quello aereo. La Piazza Anfiteatro di Lucca, l’Arena di Verona, il Pantheon di Roma, l’anfiteatro romano di Milano sono il soggetto dei lavori a parete collocati nel corridoio dello showroom milanese: a metà tra sculture, altorilievi e quadri, le riproduzioni lignee di questi monumenti sporgono aggettanti dalla propria cornice, offrendosi al visitatore il quale è libero di guardarle e toccarle. Non modellini, bensì racconti di un “profondo sincretismo architettonico-esistenziale in cui viviamo”, come chiarito dal curatore.
L’ARTE DI FULVIO MORELLA
L’architettura, nella mostra Pars Construens, non definisce solo i contorni di edifici e mausolei, bensì dà forma concreta anche a elementi epici e letterari: è il caso di Cantami, o Musa, l’opera che apre il percorso, ispirata al noto proemio dell’Iliade. Una tromba lignea e spogliata fino alla sua struttura essenziale si sporge, anch’essa, verso l’osservatore, ma anche dalla parte opposta, grazie allo specchio sul quale poggia. In alto, in braille, campeggia la scritta “Omero”, il mitico cantore cieco di cui l’esistenza storica non è mai stata confermata. Una condensazione di linguaggio, pensiero, forma, materia che prosegue in Omphalos (ovvero “ombelico”, in greco antico), tra le opere più suggestive della mostra: la scultura si ispira a quella collocata nel Tempio di Apollo a Delfi, dove la sacerdotessa Pizia, dopo aver guardato al suo interno, esprimeva le sue profezie. Allo stesso modo, il visitatore è invitato a guardare all’interno dell’“ombelico” dell’opera, concepita come un ventre gravido: sul fondo, vi troverà il riflesso del suo stesso occhio. Il senso è fare di se stessi il punto di partenza di un futuro imperscrutabile, una vertigine – e questo è il filo conduttore dell’intera mostra – in cui vista e visione guardano verso lo stesso orizzonte.
‒ Giulia Ronchi
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