Materia e fotografia: Giacomelli e Burri in mostra a Roma
Al MAXXI sono esposte le fotografie di Mario Giacomelli che incontrano le opere grafiche e multimateriche di Alberto Burri. Ne deriva una riflessione culturale, visiva e antropologica sul rapporto inesorabile fra la natura, il paesaggio e l’uomo contemporaneo che affronta il proprio isolamento nella geografia
È un dialogo intimo, lirico e sensibile quello architettato in questo percorso tre le corrispondenze epistolari, professionali e le analogie artistiche fra Mario Giacomelli (Senigallia, 1925-2000) e Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995).
Emerge ‒ complessivamente ‒ una produzione fatta di bianchi e neri accecanti in cui la natura è scheletrica, dolorosamente geometrica, astratta e ridotta all’essenziale nella quale l’uomo viene luttuosamente inghiottito nel vortice della vita e della morte.
GIACOMELLI E BURRI IN DIALOGO A ROMA
Al MAXXI di Roma le fotografie di Giacomelli si confrontano con le opere grafiche e materiche di Burri, in cui pulsa una trama energica e violenta fra pittura e arti plastiche che danno vita alla serie dei Cretti e dei Cellotex. Il paesaggio diventa una realtà esteriore ma anche inconscia, una geografia “perturbante” nella quale l’uomo contemporaneo si perde nelle forze sconvolgenti e ancestrali della natura: dal terremoto nella valle del Belice nel 1968 che dà forma al Cretto di Gibellina ‒ opera ambientale di Burri che funge da contenitore di memorie private e collettive ‒ alla serie fotografica Metamorfosi della terra, realizzata negli Anni Ottanta da Giacomelli, in cui vi è un contrasto desolante fra il cielo e la terra, attraverso spazi, geometrie e prospettive alterate, deformate e manipolate che sottolineano simbolicamente l’inesorabile trascorrere del tempo sulle cose e sull’uomo. È “il magico e l’ambiguo”, citando le parole del fotografo marchigiano, un viaggio intorno alla memoria come ispezione biografica che dà sostanza ‒ in entrambi i casi ‒ a nuove geografie, universi altri, percorsi contemporanei profondamente poetici.
‒ Fabio Petrelli
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