Le sculture di Mauro Staccioli al Castello Campori di Soliera
Le sculture-intervento di Mauro Staccioli arrivano nel Castello Campori di Soliera mettendo in atto la dialettica artista/pubblico. All'insegna di una partecipazione collettiva
Con una serie di mostre di interesse nazionale, Soliera sta cercando di costruire un’identità culturale propria basandosi sulla scultura contemporanea, creando una fisionomia culturale caratterizzata da un preciso percorso espositivo con l’intento di educare il pubblico anche dei non addetti ai lavori e rivitalizzando al contempo il centro storico. Ora tocca a Mauro Staccioli (Volterra, 1937 – Milano, 2018), volterrano di nascita ma milanese d’adozione, con un monumentale Portale installato nel centro della cittadina in comodato gratuito per tre anni e un’esposizione all’interno del Castello Campori, che racconta l’artista e la sua vita attraverso le opere, grazie alla collaborazione con il suo archivio.
LA MOSTRA DI STACCIOLI A SOLIERA
Lo spazio espositivo del Castello viene allestito come fosse il suo luogo di lavoro, con installazioni scultoree senza basi che poggiano direttamente sul pavimento, cemento e ferro che dialogano con l’ambiente circostante. L’idea degli organizzatori è proprio quella di portare avanti il suo pensiero e metodo, e di mostrare come negli anni sia cambiata la sua modalità del fare scultura. Con il tempo difatti Staccioli ha modificato necessariamente il suo modo di lavorare. Negli Anni Settanta/Ottanta ragionò sulle forme essenziali complesse come tubi o pezzi di muro di vecchie carceri, mentre negli Anni Duemila passò a una forma scultorea transitabile, con cerchi e triangoli, e alle grandi installazioni ambientali. “La scultura non ammicca, non allude, non sta ferma in se stessa“, si legge in una delle frasi disseminate tra le sale, che aiutano a comprendere il rapporto diretto tra artista e spettatore, tra l’azione e la conseguente reazione, osservando lavori che sono strumenti di provocazione e stimolo.
L’ARTE DI MAURO STACCIOLI
Staccioli fu anche promotore di un attivismo politico molto critico contro la città di Milano e la cementificazione. Partecipò a due Biennali a Venezia, nel ‘76 e nel ‘78, anno in cui realizzò un grande muro che ostacolava la vista del Padiglione italiano, stimolando le persone a interagire, fermate dallo scatto del fotografo e amico Enrico Cattaneo. Studiando la misurazione spaziale, legò i suoi lavori a una dimensione sociale e collettiva. Con uno staff che l’ha accompagnato tutta la vita e un amico ingegnere di cui si fidava ciecamente, divenne ben presto uno dei maestri della scultura ambientale internazionale e le sue opere sono ancora oggi segnali visibili che mappano un territorio.
‒ Francesca Baboni
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