Pittura e inquietudine nella mostra di Victor Man a Roma
La chiesa sconsacrata di Sant’Andrea de Scaphis a Roma accoglie la nuova mostra capitolina di Victor Man. Un mix onirico di rimandi al mondo sacro e a quello pagano
L’ultima mostra di Victor Man (Cluj, 1974) a Roma risale al 2013, quando l’artista rumeno, chiamato a rappresentare la Romania alla Biennale di Venezia nel 2007, era stato protagonista di Un altro aprile a Villa Medici, la personale curata da Alessandro Rabottini. Dopo otto anni Victor torna a esporre nella Capitale nella chiesa di Sant’Andrea de Scaphis, trasformata da Man in una sorta di tempio pagano, onirico e misterioso. In occasione della mostra all’Accademia di Francia l’artista aveva dichiarato al Messaggero: “Il mio lavoro ha molto a che fare con la memoria, perché gli oggetti che dipingo, sebbene estrapolati dal loro significato originario, recano tracce del loro passato. E implicitamente essi si collegano con la memoria, che è già presente in loro, nel loro sangue”.
LA MOSTRA DI VICTOR MAN A ROMA
Un’oscura memoria aleggia nell’allestimento dell’esposizione, intitolata 1837, Abbozzo per un Autoritratto: l’unico riferimento è la descrizione di un sogno fatto a Roma dal pittore Jean-Auguste-Dominique Ingres nella notte tra il 4 e il 5 agosto 1837. Se Man si sia in qualche modo identificato con Ingres non è dato sapere, ma sembra possibile che l’artista abbia voluto esporre le sue opere all’interno della chiesa come in una sorta di via crucis. Si tratta di otto dipinti realizzati in un arco di tempo che va dal 2008 al 2021, dei quali cinque riprendono opere di pittori del passato come Giovanni di Paolo, Sassetta, Giovanni di Pietro, Fra Angelico e Roelant Savery: tutti eseguiti su toni scuri e bluastri, e presentati senza illuminazione diretta. In mostra aleggia un’atmosfera onirica e decadente, che sarebbe piaciuta a scrittori come Baudelaire e Huysmans, sottolineata dai due dipinti di grandi dimensioni. Il primo, Not yet titled (2021), posto sopra l’altare, raffigura la porta della chiesa, chiusa da un vistoso lucchetto metallico, mentre Untitled (Adieu à Satan) (2020) rappresenta la copertina del volume Adieu Satan, scritto nel 1952 da Ernest von Gengenbach, un monaco appassionato di occultismo molto vicino all’ambiente surrealista francese, tanto da considerarsi “il primo surrealista satanista”, e grande ammiratore di André Breton.
LA PITTURA DI VICTOR MAN
L’oscurità lunare che domina le opere in mostra non fa che sottolineare la dimensione ambigua e atemporale della pittura di Victor Man, che ha fatto dell’elusività la chiave di lettura del suo lavoro, sempre in bilico tra archetipi del passato e frammenti di presente, e collocati in uno spazio temporale sospeso, quasi magico. “Non mi preoccupa che cosa è finzione e cosa è realtà. Alla fine non conta avere una risposta interessante. Prendi qualcosa di molto personale, privato, lo trasformi in qualcosa d’altro, in una finzione, e segui semplicemente questo processo, che ti porta dove ti porta”, suggerisce l’artista. E ci invita a scivolare in un sottile gioco di dettagli, allusioni, itinerari, traiettorie, incantesimi. Che le sue mostre possono svelare, o rendere ancora più impenetrabile, come a Sant’Andrea de Scaphis, l’antica chiesa sconsacrata.
‒ Ludovico Pratesi
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