Muore Dan Graham, critico e artista concettuale delle “architetture specchianti”
Nel 1964 aveva fondato a New York la Daniels Gallery, organizzando la prima personale di Sol LeWitt. Ha indagato la relazione tra opera d’arte e osservatore e la percezione dello spazio e del tempo. Temi, questi, poi confluiti nei suoi lavori più noti, i “Padiglioni”
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È morto a 79 anni (ne avrebbe compiuti 80 il prossimo 31 marzo) Dan Graham, tra gli artisti concettuali più influenti del Dopoguerra attivo, fin dagli anni Sessanta, come critico, curatore e anche direttore, dal 1964 al 1965, della Daniels Gallery di New York. Nella galleria da lui fondata, Graham ospita la prima personale di Sol LeWitt, oltre a una serie di mostre di artisti minimalisti quali Dan Flavin, Donald Judd e Robert Smithson. Si approccia all’arte da “artista” a partire dagli anni Settanta, utilizzando la performance e il video, strumenti attraverso i quali indaga la relazione tra opera d’arte e osservatore. Altri temi da lui indagati sono la memoria, la percezione del tempo e dello spazio, studiati da Graham attraverso installazioni e performance in cui sono presenti telecamere, specchi e video. Frutto di queste ricerche sono le opere più note di Graham, sviluppate tra gli anni Ottanta e i Novanta, i Padiglioni, strutture in ferro e vetro costruite in luoghi pubblici e accessibili a tutti, opere che travalicano i confini della scultura e dell’architettura.
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Dan Graham, Two way mirror – Hedge Arabesque, Conca dei Rododendri, Trivero, Biella, 31 maggio 2014
VITA E OPERE DI DAN GRAHAM
Nato a Urbana, Illinois, nel 1942, Dan Graham è stato un artista eclettico la cui produzione spazia dalla scultura alla performance, dall’istallazione alla fotografia e al video. Dal carattere concettuale, i suoi primi lavori sono stati fotografie stampate su riviste, come Figurative (1965) e Schema (1966), per poi passare a lavori più complessi a partire dall’utilizzo di differenti media, come Time Delayed Room installazione del 1975 che si compone di due stanze collegate tra loro: nel punto di passaggio tra i due ambienti, due telecamere a circuito chiuso registrano ciò che accade e inviano le immagini a due monitor collocati nei due spazi. Queste immagini, però, sono trasmesse con un ritardo di 8 secondi, portando il pubblico a vivere un’esperienza disorientante dal punto di vista temporale ma anche spaziale. Queste riflessioni vengono poi declinate, tra gli anni Ottanta e Novanta, in opere ancora più strutturate, i Padiglioni: sculture/architetture attraversabili in cui lo spettatore si confronta con i concetti di spazio e tempo, interno ed esterno, tutte dimensioni che Graham altera attraverso specchi, vetri opachi o riflettenti che determinano uno smarrimento percettivo nel pubblico.
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Dan Graham e Andrea Zegna
I PADIGLIONI DI DAN GRAHAM
Nel 2014, Dan Graham ha presentato, nei pressi della sede degli stabilimenti Zegna, in occasione di All’Aperto – tra le iniziative del gruppo imprenditoriale dedicate all’arte contemporanea –, Two way mirror/Hedge Arabesque, padiglione di vetro e acciaio posto nella scenografica Conca dei Rododendri. “Credo di non aver mai visto una mia installazione allestita in una posizione tanto perfetta. Le felci e i rododendri si specchiano riflettendo sulla superficie del vetro e facendo si che il paesaggio si trasformi. Sono grato all’Italia, ma anche a maestri come Medardo Rosso, per aver contribuito a dare nuovo significato al mio lavoro”, aveva dichiarato Graham in occasione dell’inaugurazione dell’opera.
DAN GRAHAM NEI MUSEI
Nel 2014 il De Pont Museum di Tilburg ha dedicato a Graham la mostra Models and beyond; nel 2009 è stata poi la volta della sua grande retrospettiva al MOCA di Los Angeles, al Whitney Museum di New York e al Walker Art Center di Minneapolis; è del 2006 invece la mostra al Castello di Rivoli. Altre sue esposizioni sono state organizzate al Musée d’Art Moderne de la Ville di Parigi, al Kroller-Muller di Otterlo e al Kiasma di Helsinki. Graham ha partecipato a diverse edizioni della Biennale di Venezia (1976, 2003, 2004, 2005), di documenta V, VI, VII, IX, IX e X di Kassel (1972, 1977, 1982, 1992 e 1997), dello Skulptur Projekte di Münster (1987, 1997). Nel 2010, è stato premiato dall’American Academy of Arts and Letters di New York.
– Desirée Maida
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