Corpo e identità di genere. La mostra di Pauline Curnier Jardin a Genova
Da Pinksummer, a Genova, va in mostra la riflessione di Pauline Curnier Jardin sul mondo delle sex worker, da sempre vittime di pregiudizi ed emarginazione
Le lucciole, animali notturni che incantano nel buio, possiedono il dono dell’evanescenza, la loro luce intermittente amplifica il loro essere inafferrabili ma anche la loro condizione di labilità. Forse per questo chi vive nella penombra dispensando piaceri passeggeri può essere chiamato “lucciola”. L’immaginario attorno alla vita delle sex worker è nebuloso, ammantato di tabù, avvolto in un silenzio che ne pregiudica il riconoscimento professionale: operando senza tutele e garanzie, hanno vissuto duramente le restrizioni pandemiche sul piano economico e occupazionale nel totale abbandono.
LA MOSTRA DI PAULINE CURNIER JARDIN A GENOVA
L’attenzione di Pauline Curnier Jardin (Marsiglia, 1980) alla loro condizione e ai temi del potere nell’ipersessualizzazione del corpo ha ispirato la creazione di Fireflies (Lucciole), un film a colori inframezzato da sequenze in bianco e nero, girato nel 2020 durante il primo lockdown e presentato alla galleria Pinksummer di Genova.
Proiettato dentro un ambiente raccolto che ricorda un piccolo cinema d’essai, il film è un viaggio notturno dai contorni magici nel loro mondo dove luci e ombre, oscurità e nudità sono metafora d’incontro, di scoperta, di disvelamento delle loro vite. Curnier Jardin le segue nel loro apparire e scomparire dai cigli della strada alle radure erbose, nel rivelare la loro fisicità queer scolpita nella carne, nel muoversi sinuosamente ed eroticamente nel loro habitat: la natura sembra proteggerle da una realtà di sfruttamento ma ne rivela anche la solitudine, la loro alterità fisica ed esistenziale, il loro vivere ai margini.
CORPO E IDENTITÀ DI GENERE SECONDO PAULINE CURNIER JARDIN
In quest’opera di denuncia l’artista francese dà spazio all’indagine dell’arcaico, del perturbante, del grottesco per riflettere non solo sull’identità di genere ma anche su una cultura che sacrifica il corpo trasformandolo nell’oggetto di un “martirio sociale” all’interno di una contraddizione secolare tra sacro e profano, lecito e occultato. Un corpo mortificato sull’altare del capitalismo produttivo, vilipeso da un linguaggio che, secondo l’artista, dovrebbe essere più pacifico, desessualizzato, ecologico.
Una presa di coscienza intensificata per contrasto dalla leggerezza della seconda sala, dove Curnier Jardin ha ideato una specie di boudoir di pizzi che scendono dal soffitto, contornato dai disegni erotici realizzati a più mani insieme a un gruppo di prostitute colombiane di Roma e al collettivo Feel Good Cooperative, fondato dall’artista stessa con alcune delle sex worker in seguito alla realizzazione del film.
– Marinella Paderni
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