Un paesaggio che si fa memoria. La mostra di Linda Carrara a Milano
Una tela e due travi all’interno di The Open Box, il garage in zona Lorento, permettono agli spettatori della mostra di ricreare un proprio percorso perdendosi in un ambiente tra il naturale e l’artificiale, che tocca il magico
Chi conosca The Open Box, il garage-spazio d’arte non profit di via Pergolesi 6 a Milano, può dire di aspettarsi di vedere “un mondo in una stanza”: eppure, poche volte come per La prima passeggiata di Linda Carrara (Bergamo, 1984) la sensazione di “mondo altro” può dirsi pienamente rispettata.
LA MOSTRA DI LINDA CARRARA A MILANO
A due passi dal frastuono di piazzale Loreto, è ricreato un silenzioso paesaggio boschivo, riprodotto all’osso oltre una saracinesca del cortile ipogeo del palazzo. Il paesaggio è essenzialmente composto da tre elementi, immersi in un bianco quasi totale: una riproduzione pittorica su tela di una misteriosa veduta, sul fondo della stanza, e due travi che incorniciano asimmetricamente la visuale, recuperate dall’artista da una casa nobiliare del Seicento in rovina e dipinte in finto marmo antico sul retro (come già accaduto nella pratica dell’artista). “Voglio chiedere agli spettatori di immergersi in questa veduta, che è vaga apposta perché nella testa di ciascuno diventi un paesaggio ripescato dalla memoria. La tela è una sovrapposizione di più dettagli di un paesaggio sull’Adda, ricreati sovrapponendone i singoli punti che la mia memoria ha trattenuto. E penso faccia lo stesso con chi entra, risveglia la sua memoria”, racconta Carrara. “Le grandi travi in rovere, che hanno attraversato i secoli e come un ‘legno saggio’ ne sono uscite vissute, tornano qui alberi come una volta lo furono. Ci danno la prospettiva naturale dei tronchi che tagliano il paesaggio, inframmezzandolo, creando le ombre della foresta lungo le pareti”, spiega l’artista, indicando come proprio grazie a questi elementi venga a crearsi una visione diversa per ogni visitatore.
IL PAESAGGIO IMMERSIVO DI LINDA CARRARA DA THE OPEN BOX
Curata da Martina Lolli, che nel testo critico associa l’opera di Carrara al Libro dell’inquietudine di Bernardo Soares di Fernando Pessoa – e in particolare al motto “è in noi che i paesaggi hanno paesaggio” ‒, l’esposizione site specific ricrea un luogo indefinito, evocativo e senza tempo. Una sensazione che hanno potuto apprezzare al cento per cento i primi visitatori presenti al vernissage: anche il pavimento era bianco, allora, e la sensazione di straniamento e alterità ne risultava accentuatissima. “Questo progetto è in questo spazio, e il suo essere un white cube ha trasformato completamente l’idea originale: all’inizio volevamo esporci un frottage e poi abbiamo finito per portarci una tela figurativa, assolutamente inedita per Linda”, racconta Lolli. Oggi, quasi al termine della mostra (prorogata fino al 28 febbraio), si possono vedere per terra i passi di tutti quelli che ci hanno preceduti, che si snodano negli angoli del box e in mezzo alle due travi. “I tronchi sono posti vicini per creare l’effetto foresta, ma non troppo, così che resti uno spazio vitale per poterci entrare. Si ricrea quella sensazione che si ha da bambini di stare passando attraverso un portale, che ci conduce in un al di là magico”, racconta l’artista, riportando come questa sensazione iniziatica sia stata comune a molti visitatori. Ed è con lo scendere della notte che il box diventa sempre più una porta metafisica, i faretti interni fanno risplendere le pareti bianche portandoci via dalla città, via dalla pandemia.
‒ Giulia Giaume
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati