Le predizioni dell’artista Vincenzo Agnetti in una mostra da non perdere a Milano
Molte delle opere dell’artista concettuale scomparso a Milano nel 1981 ruotano attorno al tempo e alla previsione del futuro. I lavori selezionati dall’Archivio Agnetti manifestano il suo straordinario intuito esistenziale e tecnologico
Tante cose si possono dire di Vincenzo Agnetti (Milano, 1926-1981): dallo studio del teatro all’interesse per l’elettronica, la sua visione innovativa ha cambiato il destino del gotha culturale della Milano degli Anni Settanta. Una nuova mostra all’Archivio Agnetti, sorto nel suo vecchio studio in zona Arco della Pace, riporta alla luce un aspetto meno noto del suo lavoro, ma determinante: Vincenzo Agnetti era un autentico visionario.
Le stanze delle predizioni ‒ presentate in anteprima dal 29 marzo al 3 aprile, in concomitanza con la Milano Art Week, per poi riaprire a settembre 2022 ‒ omaggiano la mostra dell’artista del 1977 al Museo Castello di Portofino, costituita da cinque stanze, una delle quali era appunto la Stanza delle predizioni, dove erano esposti lavori come I Ching e un’opera della serie Le stagioni si ripetono. In tutte le opere presenti nella stanza, Agnetti inquadrava il futuro attraverso la lente della ciclicità degli eventi, esprimendo il desiderio di poterli anticipare: quarantacinque anni dopo, la figlia Germana Agnetti e il nipote Guido Barbato (rispettivamente presidente e segretario dell’Archivio) sono tornati sull’argomento con un focus sulle opere in cui si anticipano con sconcertante chiarezza tematiche poi emerse nel dibattito contemporaneo.
LE STANZE DELLE PREDIZIONI ALL’ARCHIVIO AGNETTI
Tanti volti identici, stranamente indecifrabili, sormontati da una medesima scritta tradotta in più lingue. La sensazione di inquietudine e ipnosi da uncanny valley che si prova dinanzi al Ritratto di tutti è qualcosa che a noi, esseri umani che hanno visto le intelligenze artificiali cantare, creare poesie e paesaggi, sembrerebbe normale, se non fosse che l’opera è degli Anni Settanta. La donna ritratta non esiste, il volto è ricomposto da più fotografie realizzate nel corso degli anni e fuse assieme, creando un’età mediana impossibile e idealizzata. E cosa dire della contemporaneità de l’Apocalisse ‒ un libro in perspex con sette sigilli in lacca rossa e una scrittura illeggibile sormontato da un testo dal sapore biblico ‒ che ricorda tanto, forse troppo, i messaggi sibillini creati dalle AI? La tecnologia è quella della famosa “macchina drogata” di Agnetti, costruita modificando una calcolatrice Olivetti Divisumma sostituendo ai numeri delle lettere. Consapevole del futuro portato della tecnologia ma anche della ripetitività modulare del presente, Agnetti applicò un modello filosofico ricorrente, sfruttando messaggi passati e presenti per proiettare il futuro: a questo obiettivo è volto il recupero del concetto di tempo ciclico nella serie de Le stagioni si ripetono, qui presente per intero, e nelle combinazioni (divinatorie) degli I Ching. Tutto ciò è portato alla massima potenza nell’eloquente Profezia, un’opera dal sapore grafico corredata da istruzioni, in cui i capitalismi americano, russo e cinese si uniformano con il tempo sotto la “dittatura” della scienza, che appiana i poli dell’economia globale verso il benessere e lontano dalla libertà. Nel mondo di Agnetti, la predizione non è che una proiezione dell’intuito, come riassunto dall’assioma “Intuition is conscious reality bumped into the dark”.
L’ARCHIVIO AGNETTI DI MILANO
L’Archivio di via Machiavelli 30, nelle mani della famiglia di Agnetti, riceve il supporto di un Comitato scientifico composto da Bruno Corà, critico, presidente della Fondazione Burri e amico di Agnetti; Marco Meneguzzo, critico d’arte e docente all’Accademia di Brera; Giorgio Verzotti, critico d’arte e docente alla NABA di Milano. Questo centro, volto al recupero, alla promozione e all’approfondimento, riprende un grande patrimonio di opere organizzando sia mostre sei progetti specifici. Esempio è la totale ricostruzione del NEG, lo strumento creato da Agnetti con cui si poteva ascoltare il “negativo della musica” attribuendo un suono al silenzio, presentato al pubblico nel 2021 in occasione del suo cinquantesimo anniversario con il video Vobulazione e Bieloquenza NEG (che l’artista realizzò con Gianni Colombo).
“Il NEG originale era perduto, e noi lo abbiamo ricostruito”, racconta Germana Agnetti ad Artribune. “È stato un grandissimo lavoro, io e mio figlio ci abbiamo messo quattro o cinque anni ad assemblarlo, a partire dal brevetto e dalle foto, usando solo pezzi d’epoca reperiti su internet”. Altro esempio è il progetto di approfondimento realizzato sempre l’anno scorso con l’Archivio di Paolo Scheggi, con cui Agnetti aveva realizzato il Trono e aveva quasi portato a compimento il progetto de Il Tempio e la nascita dell’Eidos: “Quando Scheggi morì, mio padre ripose i disegni nella cassettiera e lì li lasciò”, spiega la presidente dell’Archivio. “Cinquant’anni dopo, noi abbiamo preso i disegni esecutivi e con l’Archivio Scheggi, che ha gli schizzi, abbiamo messo tutto insieme, realizzando una cartella pregiata e un libro con i nostri studi. Abbiamo fatto emergere dall’oblio un’opera sconosciuta”.
Il lavoro, che ospitava (ancora una predizione) una moneta virtuale, era un perfetto esempio di teatro statico, cioè un livello di lettura immersivo creato da Agnetti (il quale studiò con Strehler) che elevava lo spettatore ad “attivatore” degli oggetti rappresentati, come già nel Progetto per un Amleto politico. Oggi Germana Agnetti vorrebbe ricostruire questo sostrato concettuale in realtà virtuale, completando con l’aiuto delle nuove tecnologie il lavoro avveniristico del padre. Certo, per progetti così occorrono grossi fondi: investitori, fatevi avanti.
‒ Giulia Giaume
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