Natura, segno e colore. La mostra di Davide Benati a Bologna
Guardano anche all’Oriente le opere di Davide Benati in mostra alla Otto Gallery di Bologna. Tra rimandi al mondo naturale e la leggerezza della carta di riso
Come pagine di un diario le opere di Davide Benati (Reggio Emilia, 1949) individuano i diversi momenti di un percorso artistico che si dispiega dagli Anni Ottanta fino a oggi.
La ricerca dell’artista non dimentica la lezione della Pittura Analitica per il rilievo conferito alle componenti materiali del linguaggio pittorico come la superficie materica, il colore, il segno, esaltati nella loro potenza espressiva autonoma, per poi dar vita a un linguaggio personale, una sorta di “naturalismo concettuale” in cui le forme sono sempre riconducibili a suggestioni provenienti dal mondo naturale.
IL LINGUAGGIO ARTISTICO DI DAVIDE BENATI
Il linguaggio creato da Benati fuoriesce, dunque, dalla pura astrazione quasi a mettere in scena sulle pareti della galleria una sorta di erbario che entra in stretta relazione con lo spazio. Un invito rivolto allo spettatore a superare la composizione armonica di forme e colori dati in trasparenza, per instaurare un rapporto conoscitivo e meditativo con le opere e la natura. Astrattismo europeo e fascinazione per l’Oriente si combinano tenendo uniti poli opposti. E così la carta di riso nepalese utilizzata dall’artista esalta la sua fragilità e leggerezza, ma resiste nel tempo, il vuoto dato dalla rarefazione dell’immagine contrasta con la saturazione dello spazio, la libertà del gesto soprattutto negli acquerelli emerge da sfondi in cui è sempre riconoscibile una griglia ordinatrice di eco modernista. La natura rimane l’elemento costante, foglie, fiori, uccelli a volte si trasformano in segni dalla carica gestuale altre volte in forme rarefatte di trasparenze e gradazioni di colore. Se la spiritualità che promana da questa conoscenza della natura rimanda alla tradizione orientale, all’arte giapponese e cinese, il rapporto con lo spazio e la quadrettatura visibile in ogni opera del suo lungo percorso riconduce l’attenzione a quel rapporto tra geometria e variabilità così importante nella tradizione dell’astrattismo europeo e italiano.
LE OPERE IN MOSTRA A BOLOGNA
E così in Dedalus, 1980, la dimensione ambientale, installativa è più che mai presente. Disposta ad angolo, si compone di tre parti come in un crescendo: foglie, uccelli in volo, citazione colta da Leonardo, cielo. La leggerezza della carta di riso nepalese su cui emergono eleganti forme eseguite a inchiostro non rinuncia alla volontà di creare un dialogo con lo spazio architettonico. Nella seconda sala il segno sembra farsi più strutturato, ma sempre dinamico. Regina di Shangai ricorda le composizioni astratte e variopinte di Piero Dorazio, ma si discosta dall’astrazione totale dell’artista romano.
Nei lavori più recenti Cigno nero e Oasi dell’acqua amara l’acquerello si tinge di nero giocando su contrasti cromatici e specularità delle forme. Frammenti di natura combinano libertà e ordine geometrico, simmetria e spontaneità del gesto pittorico.
‒ Antonella Palladino
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