Disegni e Apocalisse. La mostra di Fabio Mauri a Milano
Alla galleria Viasaterna di Milano va in scena la prima mostra di disegni su carta di Fabio Mauri, molti dei quali pezzi unici mai esposti prima
Quella di Fabio Mauri (Roma, 1926-2009) è una produzione complessa. “Artista intellettuale” ‒ come lo definisce Francesca Alfano Miglietti, curatrice della mostra allestita negli spazi di Viasaterna a Milano in collaborazione con Studio Fabio Mauri e Hauser & Wirth ‒ a lungo identificato soprattutto con le performance, la più nota e di successo l’Ebrea (1971), di cui è presentata una fotografia fino a ora mai esposta. Opere dall’Apocalisse restituisce, invece, un altro Mauri, quello dei disegni, tecnica per lui tutt’altro che secondaria, come testimoniato dalle cornici originali in mostra.
LA MOSTRA DI FABIO MAURI A MILANO
Due anni di preparazione, 49 opere, tre serie inedite (Apocalisse, gli Scorticati, alcuni Dramophone) e un percorso lineare ma densissimo negli spazi alabastrini della galleria. Attraverso il dramma e oltre, nell’indagine più che umana e vertiginosa dell’arte di Mauri, che ha saputo toccare l’ineffabile.
Martellante è il tema dell’Apocalisse, che ritorna alla radice greca di “dis-velamento”, l’atto di “togliersi i veli”. Nessun decorativismo. Di fronte alla nitidezza della fine delle apparenze, quando tutto si è svelato, il disegno è adesione totale alla cosa, al di là della rappresentazione. Ci sono bagliori di luce improvvisi, la tensione verso la forma perfetta, il cerchio, il compasso dei Dramophone, che all’improvviso devìa, le trombe squillanti che chiamano alla realtà vera, tutti simboli che attingono dalla storia sacra, da un’ispirazione liturgica che niente ha a che fare con il nostro tempo. “Gli acuti sembrano sentirsi, risuonano nel mondo al di là dell’opera, divengono orizzonti liquidi e prende così forma un’apocalisse con ragione e morfologia”, dice Francesca Alfano Miglietti. Si perde il senso dell’inquadramento, della direzione dell’opera, il sotto al posto del sopra, il sopra del sotto, prevale il sovvertimento della visione, un suo capovolgimento che non risulta però nel caos: aggrappata all’ordine è l’Apocalisse dell’artista, mossa da una logica interna dettata dall’“Altissimo Fattore” che, per Mauri religioso, illustra una via d’uscita sempre possibile, anche dalla peggiore delle tragedie, quella dell’Olocausto.
FABIO MAURI DA VIASATERNA A MILANO E IL COLORE
Per “questo Mauri” è fondamentale il colore, una tavolozza di gialli e di blu, che fa da “contrappunto” al nero incombente, come spiega la gallerista Irene Crocco. Irrompe spesso nella tela la parola, con vena talvolta fumettistica, altre volte cinematografica, del titolo che attraversa lo schermo (altro topos importante della sua riflessione) con la scritta continua “THEEND”, la mancanza di spazi a significare che non è veramente una fine.
Altri colori nella serie de gli Scorticati, che è a tutti gli effetti una sorpresa: scheletri dai colori fluo raccontano un Fabio Mauri che gioca con la brillantezza dei rosa. Al di sotto corrono i secoli dell’arte: nell’Adamo ed Eva si leggono le formule di pathos, le posture, i gesti della Firenze del Quattrocento, nell’iconografia degli scheletri, il Barocco.
IL SENSO DELL’ARTE NELLE PAROLE DI MAURI
Nell’ultima sala è, infine, proiettata una conversazione sull’arte, girata da Gianfranco Pangrazio pochi mesi prima della morte dell’artista: per Mauri l’arte è pazienza, come quella ostinata del pescatore, che attende il pesce per ore. Che all’improvviso abbocca. Allo stesso modo, all’improvviso, sopraggiunge l’opera d’arte.
“Poche volte ci è capitato di aver visto il bene e il male così da vicino, senza quasi accorgersene. Una nudità bella e orribile. Il bene e il male parlano la stessa lingua”. Queste le parole che ci colpiscono dell’intervista, ammonendoci. “L’arte è la spina nel fianco di una società. È l’unica forte rivoluzione. È l’unica che continua a raccontarci che il mondo può cambiare ma che bisogna essere molto vigili. Questa non è una mostra su un passato, è una mostra che ha il presagio di un futuro. Le condizioni storiche si ripresentano con sembianze sempre diverse, alle quali bisogna stare molto attenti”, nelle parole ancor più attuali in questi giorni di Francesca Alfano Miglietti.
L’arte di Mauri è interrogazione sulle cose del mondo, dalla quale scaturiscono impegno civile e consapevolezza. È salvezza, al contempo ideologia, che è il linguaggio dell’Occidente europeo, il nostro, con il quale siamo (e saremo) costretti a fare continuamente i conti.
‒ Silvia Zanni
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