Materia e maternità nella mostra di Iris Nesher a Roma
Video, fotografia e ceramica sono i linguaggi messi in campo dall’artista israeliana Iris Nesher nella mostra alla Nomas Foundation di Roma per affrontare un tema complesso come quello della maternità e del ruolo della donna nel mondo
Cosa significa essere madre? Esserlo amando i propri figli, oppure senza volerlo. Desiderandolo e non riuscendoci o decidendo liberamente di non avere bambini. È una mostra sul corpo delle donne e sul loro ruolo nel mondo quella che compone l’artista israeliana Iris Nesher. Qui la carne si fa sostanza. E non è un caso che proprio Materia sia il titolo di questa straordinaria mostra curata da Raffaella Frascarelli a Roma da Nomas Foundation.
Materia, quella che il divino nell’Antico Testamento insuffla nella terra e il verbo si fa donna ignorando il maschio, quella che gli artisti usano nell’atto della creazione, quella con cui la mamma, usando il ventre come cosmo, dà luce alla vita. C’è una connessione semplice e tuttavia misteriosa tra sacro, maternità e arte. Nella mostra a Roma è evidente, pur senza troppe esplicitazioni.
LE OPERE DI IRIS NESHER IN MOSTRA A ROMA
La galleria dei ritratti che la Nesher mette in fila è appassionante e narrativa. Un libro per immagini con le storie di donne che hanno scelto, non scelto, si sono ritrovate, tutte le strade possibili, pezzi di vita che parlano di storia e di presente attraverso fotografie e video. E anche ceramica, lasciando che il femminile collettivo (qui un gruppo di scrittrici, studiose, musiciste, artiste) si riunisca dando sfogo a una pratica collettiva di creazione di strumenti nella tradizione muliebri, qui reinterpretati nella logica di una rivendicazione contemporanea, con le loro ferite, i tagli, le cicatrici ben evidenti, ma anche restituiti alla loro funzione di condivisione. Un piatto, una tazza, un vaso sbreccato sono le stoviglie di un’ultima cena, dove i convitati sono tutti insieme, soffrono insieme e sono tutti donne.
LA STORIA DI ARI
Il tema della Pietà torna nelle foto (lo scatto Akudim è michelangiolesco) e nel confronto tra vita e morte. C’è il video Healing che ritrae la poetessa Hedva Harechavi e il suo senso della perdita, affrontato però in chiave vitalistica, ricordando un po’ la Joan Didion de L’anno del pensiero magico. E poi c’è l’opera Out of Time, il capolavoro che dà un senso a tutta la mostra, uno slide show di immagini che ritraggono Ari, il figlio adolescente dell’artista recentemente scomparso, nei viaggi con la famiglia nei musei del mondo, nei momenti di pausa o quando il ragazzo si abbandona alla stanchezza dopo una lunga scarpinata. Un inno di amore e di dolcezza, un piccolo grande film della vita di tutti noi, il coraggio di una madre che non ha paura di concludere la carrellata delle storie presentate con la propria, mettendosi a nudo, il gesto sacro dell’artista che ridona la vita, strappa la propria carne alla morte e consegna il piccolo Ari all’eternità.
– Santa Nastro
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