L’esistenzialismo di Edi Hila in mostra a Milano
Nella galleria Raffaella Cortese la prima personale italiana di Edi Hila occupa i tre ambienti espositivi solitamente dedicati ad artiste donne. Con un’illuminazione intima e una cromia che parla sottovoce, l’artista propone un gioco mentale attraverso spazi e memorie che si incalzano
Appropriarsi degli spazi, rielaborarli e restituirli quando entra in gioco la distanza. È ciò che ha portato alla realizzazione delle opere di Edi Hila, artista albanese (Shkodër, 1944) che, subito dopo il lockdown del 2021, si è recato in galleria per immagazzinare nell’anima le impressioni di quel luogo. E ogni luogo ha le sue peculiarità e vive una contingenza storica favorevole o meno all’arte e alle sue manifestazioni. Hila, nella sua terra natale, dopo aver dipinto un quadro non in linea con i dettami estetici del regime comunista, è stato allontanato dalla sua arte e spedito in un campo di rieducazione per almeno un decennio. Edi Hila ha quindi vissuto sulla sua pelle una decontestualizzazione dalla vita, poiché messo a latere del percorso che aveva scelto di intraprendere ‒ come uomo e come artista.
LA MOSTRA DI EDI HILA A MILANO
Questa poetica dello spostamento la porta con sé in Italia e la racconta nella personale dal titolo Al di là del vetro, realizzando tele di grande formato dove il paesaggio, interno o esterno, vibra senza presenza umana. I piani ribaltati degli oggetti rappresentati e le atmosfere dense ‒ come se l’artista sovrapponesse strati di atmosfera corrispondenti alla distanza fisica con il luogo ‒ creano un clima precario, attenuato nei colori da una cortina bianca che li desatura e trasforma lo spazio raffigurato in un palcoscenico mentale (La luce che modella, 2021). In questa dimensione non c’è posto per l’uomo, se non come traccia fugace, ridotta a una pennellata che segna la presenza incorporea di un passaggio o un transito vissuto con l’angoscia di chi è abituato a professare la sua arte di nascosto (Uscita, 2021).
LE OPERE DI EDI HILA TRA ARTE E REALTÀ
La galleria Raffaella Cortese, lontana dall’essere un mero contenitore, diviene per Hila un “dispositivo di pensiero”, un propulsore che innesca immagini per poter rievocare un luogo ‒tanti luoghi ‒ fuori contesto che si fondono e danno vita ad ambienti cerebrali, dove è possibile che uno specchio d’acqua richiami il frame di luce della finestra della galleria (Natura dipinge gli alberi II, 2021). Esistenziale è la sua prospettiva sovvertita, nulla di lineare, ma uno sguardo che si sfaccetta per restituire la complessità del reale; esistenziale è anche il trittico People of the future (1997), che richiama con le moli imponenti delle navi le vittime del mare della tragedia di Otranto, quando il popolo albanese era costretto ancora una volta a traslocare dalla propria terra. Esistenziale la questione che, come un filo rosso, lega le opere in mostra di Hila: cosa persiste dell’uomo nell’ambiente se non un riflesso psichico che spinge a domandarci cosa ci sia oltre l’apparenza evocata dall’artista nella sua solitaria semplicità, cosa ci sia al di là del vetro?
‒ Martina Lolli
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