L’Anacronismo al cubo di Stefano Di Stasio in mostra a Milano
La mostra alla Fondazione Stelline riunisce alcune opere recenti del pittore napoletano e mette in atto un gioco di specchi tra stili ed epoche. Scenari metafisici, malinconici eppure lenitivi, che affascinano. E stimolano domande
È straniante l’atmosfera della mostra di Stefano Di Stasio (Napoli, 1948) alla Fondazione Stelline, e perciò affascinante: ci si trova invischiati in un complesso gioco di scatole cinesi. Perché allo “sfasamento” temporale che procura in sé l’Anacronismo come genere espressivo si aggiunge il fatto che sono passati quasi quarant’anni dall’elaborazione dello stile dell’artista ‒ e dunque l’anacronismo diventa al quadrato. Al cubo, se si considera poi che sono esposte opere recenti, ma lo stile rimane nella sostanza fedele a se stesso.
Non c’è accezione negativa in queste considerazioni, meglio precisarlo subito. Anzi, il fascino dei lavori in mostra risiede proprio in questo gioco di specchi tra stili, epoche, riferimenti, evoluzione e immobilità. Oltre che nelle caratteristiche in sé dei quadri, sospese tra metafisica, realismo magico, surrealtà – con un risultato che eccede la somma delle parti e crea qualcosa di marcatamente personale.
GLI SPAZI FISICI E MENTALI DI STEFANO DI STASIO
Se storicamente le atmosfere di Di Stasio si collocano nella parte minoritaria del ritorno alla pittura Anni Ottanta (quella che all’Espressionismo preferì l’Anacronismo, come detto), siamo idealmente vicini anche al mondo del realismo magico letterario italiano – difficile non fare il nome di Dino Buzzati.
Sono soli i personaggi raffigurati da Di Stasio nelle sue tele. La dinamica delle loro esistenze è affidata a incroci fugaci con altri soggetti, a un modo di abitare i luoghi che ha molto del mimetismo e del tentativo di dissoluzione. Lo spazio in cui abitano, evidentemente tanto fisico quanto mentale, è suddiviso in settori geometrici che confinano ma comunicano tra loro in maniera non lineare. Nonostante lo sguardo all’indietro, o in ogni caso laterale, però, i quadri in mostra risultano bizzarramente adatti a interpretare per via simbolica anche il presente, esondando la mera via “esistenzialista”.
LA PITTURA DI STEFANO DI STASIO
Più compiuto nei dipinti di grandi dimensioni che in quelli piccoli qui esposti, lo stile è ambiguo: precisione e sfrangiatura, ricamo e ruvidezza danno vita a una sfida interna al quadro. Tratti che allo sguardo odierno potrebbero essere colti come “kitsch” sfumano nell’esattezza espressiva che si scopre dedicando qualche secondo in più all’osservazione. E, nella malinconia diffusa e stringente, le scene raffigurate sono anche lenitive, trascendenti come in ogni Metafisica che si rispetti.
Si esce affascinati, stupiti, magari contrariati dalla mostra, ma con la mente impegnata in una sorta di dibattito. Senza nostalgia per le contrapposizioni epocali tra diverse concezioni dell’arte, senza badare alle pretese di un “primato” della pittura, si può essere soddisfatti di ricevere uno stimolo intellettuale di questo tipo.
‒ Stefano Castelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati