Museo MA*GA di Gallarate. Le mostre in programma per la primavera
Al MA*GA di Gallarate hanno aperto i battenti tre nuove esposizioni: “Melancholia” di Chiara Dynys, “Untitled” di Michele Lombardelli, e “Geografie”, il “riallestimento narrato” di una selezione di opere del museo
Il vento della ‒ ahinoi, precoce ‒ primavera lombarda tocca anche uno dei primi musei di arte contemporanea della regione: il MA*GA di Gallarate. Qui, fino all’8 maggio 2022, la stagione di mostre prevede un dettagliato riallestimento della collezione permanente del museo, una esposizione pensata per approfondire l’astrattismo pulito e le opere sperimentali di Michele Lombardelli e un’altra dedicata al linguaggio filmico nascosto nelle opere dell’artista minimalista Chiara Dynys.
‒ Giulia Giaume
MELANCHOLIA DI CHIARA DYNYS
Sono venti le opere inedite dell’artista minimalista Chiara Dynys (Mantova, 1958) al centro della personale Melancholia ‒ un omaggio a Lars Von Trier ‒, che esplorano l’immaginario filmico sotteso alla varia e generosa produzione realizzata nel corso di oltre trent’anni.
Questo focus così particolare, che inquadra in modo nuovo un’artista ormai molto nota (e già presente nella collezione del museo con l’opera para-propagandistica Tutto/Niente), è dovuto a un’intuizione dal conservatore del MA*GA Alessandro Castiglioni: è stato lui a intravvedere la forza dei riferimenti cinematografici dietro il linguaggio estetico di Dynys.
“Questa prospettiva inedita emerge dopo 34 anni da artista”, racconta lei quasi sorpresa, “è stato Alessandro a scoprire questo lato del mio lavoro. È un immaginario che devo a mia madre, critica cinematografica, che mi faceva vedere all’età di cinque anni film come ‘Il posto delle fragole’ di Bergman. Uno choc. Da questi piccoli choc nasce la mia ossessione per alcuni temi ricorrenti come lo specchio, la luce e le stanze nelle stanze”. Pezzo forte della mostra, posto tra i colorati specchi-cono e un ipnotico Antro della Sibilla (mutuato dal Viaggio in Italia di Rossellini), è la malinconica Merry Liseberg Parade. Questa collezione di foto di un paradossale parco divertimenti svedese ‒ inquadrate in cornici a Led dal gusto flamboyant e circense ‒ rivela le contraddizioni di un luogo di festa immerso nel gelo, popolato quasi solo da rifugiati. Il sentimento di vuoto e non appartenenza, che riecheggia la nostalgia per un’integrità ormai perduta, esprime al meglio i riferimenti nascosti ai grandi nomi della settima arte, da Rossellini e Fellini a Von Trier, Kubrik e Campion: “Quando lavoro sono insieme regista, montatore, cameraman, tutto”, racconta Dynys. Che resta prima di tutto un’artista minimalista, condizione che secondo Castiglioni le avrebbe dovuto far guadagnare una ben maggiore fama: “Chiara”, racconta, “appartiene a quella generazione di artiste donne sabotate dal sistema dell’arte. Il suo linguaggio strutturale minimalista non è stato riconosciuto perché femminile, tutta colpa del machismo interno all’ambiente minimalista. E dire che nessuno faceva il suo lavoro negli Anni Ottanta”.
UNTITLED DI MICHELE LOMBARDELLI
La personale del cremonese Michele Lombardelli (1968), Untitled, arriva invece dopo quasi venticinque anni di collaborazione più o meno diretta con la città di Gallarate. Si ritrovano i diversi linguaggi sperimentali propri della sua ricerca artistica ‒ la fotografia, la pittura astratta, la musica elettronica, l’editoria ‒ nelle sale del museo e al ViaMilanoLounge all’aeroporto di Malpensa T1 (una collaborazione, tra museo e aeroporto, che giunge nel 2022 al suo decimo anno). “C’è molta America in tutti questi linguaggi, dalla pittura astratta alle fotografie californiane, fino alle chitarre incluse nella ricerca sulla musica elettronica”, racconta la curatrice Vittoria Broggini, che porta all’attenzione anche il visionario progetto Untitled Noise realizzato con l’artista Luca Scarabelli. Emerge con vigore come Lombardelli si esprima sì su temi ricorrenti, come la modularità e l’indagine del segno, ma senza limitazioni nell’uso di mezzi espressivi e supporti, che spaziano dalla tela alla tavola, dalla carta alla moquette, dalla ceramica al vinile. “Questa mostra è un mettere ordine nella mia vita disordinata”, afferma Lombardelli, “un punto di arrivo iniziato in modo inconsapevole molti anni fa. Qui ci sono tutte le mie identità”.
GEOGRAFIE. RACCONTARE I TEMPI, RACCONTARE I LUOGHI
Contemporaneamente alle due personali c’è l’esposizione della collezione permanente del MA*GA con la curatela della direttrice Emma Zanella e dello stesso conservatore Castiglioni.
Il progetto Geografie. Raccontare i tempi, raccontare i luoghi, che deve il suo nome all’omonimo libro della saggista e poetessa Antonella Anedda, mette in mostra le opere raccolte negli anni dall’istituzione con una narrazione ad hoc, secondo la decisione di voler creare “percorsi di pensiero” ogni volta diversi. Una decisione forzata dall’incendio del 2013, a seguito del quale la permanente non è mai più stata statica. Risultato di una ricerca pluriennale, questo percorso permette di raccontare la contemporaneità attraverso una selezione di opere scelte, che vanno dalla ricostruzione postbellica italiana ‒ spiccano L’Urto di Emilio Vedova e La Pace di Ennio Morlotti ‒ allo studio dello spazio fisico, politico e scientifico, con opere di Gilardi, La Pietra, Vigo e Bentivoglio. A queste sono affiancate acquisizioni recenti e mai esposte: per citarne due, i carotaggi del Sulcis di Giorgio Andreotta Calò (esposti tre anni fa all’HangarBicocca) e l’indagine sull’amnesia programmata dell’Italia colonialista di Alessandra Ferrini. Presenti infine le opere entrate nella collezione con il progetto Italian Council, da Francesco Bertocco e Marzia Migliora a Nicola Pellegrini e Ottonella Mocellin, per le quali il museo attiverà il Geografie Research Program, così da digitalizzare e promuovere le nuove acquisizioni con il supporto del Fondo Cultura del MiC.
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati