Biennale Arte 2022: Top e Flop. L’immancabile classifica di Artribune
Ecco cosa ci ha convinto e cosa no in Laguna. Tra mostre, progetti, performance e arte digitale. Però diteci anche il vostro parere
Si è da poco conclusa la settimana concitata che precede l’apertura al pubblico della Biennale Arte di Venezia. Il latte dei sogni, a cura di Cecilia Alemani, ha regalato non pochi spunti agli addetti ai lavori invitati per la preview, offrendo inoltre un ricco programma collaterale che si è andato ad aggiungere alla mostrona tra Giardini e Arsenale e all’ampio parterre di padiglioni nazionali. Ecco però cosa ci ha convinto e cosa no.
TOP – LE GRANDI MOSTRE COLLATERALI
Le mostre a latere della Biennale di Venezia non sono mai mancate e il livello è stato sempre ottimo. Quest’anno però, complice forse l’astinenza causa Covid, sembra che si siano superati positivamente i limiti. In quale altra città trovate, negli stessi giorni e a pochi passi di distanza, una personale clamorosa di Marlene Dumas (Palazzo Grassi), una collettiva storica che si focalizza su Surrealismo e magia (Guggenheim) e uno straordinario focus sugli Human Brains con un allestimento mozzafiato (Prada)? E ci siamo limitati davvero a pochissimi esempi, perché appena alzi lo sguardo trovi, tanto per dire, una chicca imperdibile come Joseph Beuys a Palazzo Cini.
TOP – LE MANIFESTAZIONI DEDICATE ALL’UCRAINA
Dopo aver dichiarato il proprio supporto all’Ucraina, la 59. Biennale ha organizzato una serie di manifestazioni di vicinanza al Paese invaso: prima tra tutte, l’installazione solidale Piazza Ucraina, che ha dato voce agli artisti ucraini, permettendogli di esprimere in arte la loro resistenza, ricalcando i monumenti ricoperti da sacchi di sabbia che abbiamo visto sotto i bombardamenti. Poi è stata la volta del progetto di PinchukArtCentre, This is Ukraine: Defending Freedom, con opere di artisti ucraini accostate a quelle di artisti da tutto il mondo, come Damien Hirst, che ha prodotto ad hoc l’opera Sky over Conflict, Marina Abramovic, con la toccante installazione video a quattro canali Count on Us, Takashi Murakami e JR. E poi è stata la volta di Without Women, mostra dell’artista multimediale originaria di Kiev Zinaida e infine Kollina, la scultura dell’artista ucraino Olexa Furdiyak montata su una barca e itinerante per i canali di Venezia, prima di approdare a Treviso, in una operazione promossa da Fondazione Imago Mundi.
TOP – HOMO FABER DURANTE LA BIENNALE
Nata nel 2018, la rassegna veneziana Homo Faber – organizzata dalla Michelangelo Foundation – si è ritrovata ad impattare con la pandemia e ha riprogrammato le sue date capitando curiosamente in simultanea con l’apertura della Biennale. Mai combinazione poteva essere più felice (e da ripetere!): molte gallerie, botteghe, negozi della città erano coinvolte nel programma “Homo Faber in città” volto a diffondere i contenuti di questo grande appuntamento espositivo sull’alto artigianato anche in giro per Venezia. Un’occasione in più per i visitatori professionali e addetti ai lavori della Biennale per scoprire eccellenze artigianali e cambiare ogni tanto argomento dall’arte contemporanea.
TOP – PENUMBRA: VIDEO ARTE SENZA PAURA
Nel via vai delle mostre biennalesche, Penumbra, promossa al Complesso dell’Ospedaletto da In Between Art Film e a cura di Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi, ha avuto diversi meriti: aver presentato delle nuove opere di artisti internazionali nati tra gli anni ’70 e ’90, tutte da poco prodotte dalla Fondazione in uno spazio di indubbio fascino e di aver offerto spazio e attenzione al medium del video – da sempre il più bistrattato nelle grandi rassegne – con lavori di grande qualità. Tra questi il video Pantelleria di Masbedo, di cui abbiamo già parlato qui, e il lavoro di Jonathas de Andrade, anche protagonista del padiglione Brasile alla Biennale di Venezia. E d’altra parte la qualità delle produzioni di In Between si è vista anche in Biennale all’Arsenale, con il video Lacerate dell’artista ateniese Janis Rafa, realizzato per Mascarilla19.
TOP – LE OPERE IMMERSIVE DI AORIST
Il duo olandese Studio Drift, invitato a realizzare un progetto nella chiesa di San Lorenzo, sede di Ocean Space, ha utilizzato cento piccoli droni luminosi per mettere in scena una dinamica caratteristica del mondo naturale. Inoltre, l’organizzazione Aorist ha portato a Venezia un’opera dell’artista olandese Rafaël Rozendaal – uno dei rappresentanti più noti della corrente Post-Internet -, visitabile al Venice Meeting Point, nei pressi dell’Arsenale. Si tratta di una piccola installazione immersiva dal titolo Observation fatta di specchi e schermi, all’interno della quale il visitatore viene avvolto a 360 gradi da forme e colori in continuo mutamento. Completa il programma CodeX un lavoro online, a firma dell’artista svedese Jonas Lund. Un bel programma in una settimana dell’arte che mancava di arte digitale e progetti immersivi.
FLOP – SAN MARINO MERITA DI PIÚ
Una grande confusione, un allestimento eterogeneo, tante scelte discutibili e distanti dalle migliori pratiche allestitive ed espositive. Al di là della scelta degli artisti (otto, troppi!) il Padiglione di San Marino ha deluso chi si è spinto fino alle Fondamenta Nove dove si staglia lo splendido Palazzo Donà delle Rose che lo contiene. Sia questo edificio sia una Repubblica millenaria (e zeppa di eccellenze artistiche e paesaggistiche) come San Marino meriterebbero un lavoro ben diverso.
FLOP – MARC QUINN FUORI LUOGO
Screenshot di iPhone riportati in formato gigante con interventi artistici sovrapposti. Si tratta della serie HistoryNow dell’artista Marc Quinn installata nelle sale – a partire dal nuovo ingresso su Piazzetta San Marco – del Museo Archeologico di Venezia. Non vi è una sola sala in cui questa ricerca di Quinn (discutibile di per sé) entri in dialogo fertile e sinergico con le sculture e i pezzi di archeologia del museo. Operazione non riuscita.
FLOP – BELLE MOSTRE, POCO SOSTENIBILI
Nonostante, come abbiamo già detto, non siano mancate le belle mostre in Laguna, si è notata una certa tendenza alla muscolarità, forse eccessiva, senza dubbio molto poco sostenibile e magari anche non del tutto in linea con i tempi. È un approccio che ha interessato diversi progetti (dalla mostra di Anish Kapoor alle Gallerie dell’Accademia e Palazzo Manfrin, da Anselm Kiefer a Palazzo Ducale, fino al Padiglione Italia all’Arsenale, per citare qualche esempio, ma non solo), a volte diventando più che altro una esibizione di potere (e di bei palazzi), non solo in senso economico o politico, ma anche artistico. Tutte mostre molto belle, ma vittime di questo atteggiamento.
FLOP – GLI ORARI E LE DATE
Certo, Venezia è una città molto costosa e complicata, ma come si fa a chiudere tutti gli spazi tra le 18 e le 19 di tardo pomeriggio nei giorni di preapertura, impedendo di fatto ai giornalisti e agli operatori del settore di concedersi qualche ora di lavoro una volta chiusa la mostra centrale della Biennale? Ormai in tutte le art week in giro per il mondo si procede ad aperture serali prolungate che permettono di ottimizzare i tempi e di perdere meno contenuti possibile per chi non può trattenersi in città per una settimana. Un altro fattore di lamentela da parte degli addetti ai lavori è stato generato dalle date anticipate ad aprile, a cavallo con il week end di Pasqua e quello del 25 aprile, con condizioni organizzative e metereologiche piuttosto complesse. Infine, un appello per la stampa: dateci un giorno in più di anteprima per lavorare. È difficilissimo scrivere rispettando le giuste tempistiche se tra un padiglione e l’altro bisogna subire una coda interminabile (per vederci il Padiglione Grecia, di mercoledì non di sabato, abbiamo totalizzato 2 ore e mezza di attesa…). E se l’obiettivo è una doppia visita per approfondire? Forget it…
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