Tra punk e romanticismo. La mostra di Jacopo Benassi a La Spezia
La mostra allestita alla Fondazione Carispezia è l’esito del lavoro “sul campo” da parte di Jacopo Benassi, che ha trasformato la sede espositiva nel suo spazio di lavoro
Se al Centro Pecci Jacopo Benassi (La Spezia, 1970) aveva ricostruito il suo studio, in questo caso la Fondazione Carispezia si è trasformata concretamente nel suo spazio di lavoro. Nei mesi precedenti alla mostra, la Fondazione è diventata luogo di creazione ed elaborazione delle opere, pensate e realizzate ad hoc per il progetto.
LA MOSTRA E L’ALLESTIMENTO DI BENASSI A LA SPEZIA
Nella sala principale è installata una proiezione che presenta alcuni momenti della performance dell’artista, realizzata nelle settimane precedenti all’inaugurazione.
Le pareti che in quei giorni imprigionavano Benassi in una struttura chiusa (la performance era visibile dall’esterno, solo attraverso piccoli fori) sono diventate le stesse pareti sulle quali poggiano i lavori in mostra. Con la realizzazione di questo ambizioso progetto allestitivo a cura di Antonio Grulli, i lavori di Benassi si appropriano della Fondazione, ridisegnano il percorso, impregnano gli spazi, rendendola un denso contenitore di immagini ed esperienze.
I PUNTI DI RIFERIMENTO DI JACOPO BENASSI
Jacopo Benassi ha certamente molte ‘matrici’ ma alcune sono state le più segnanti e formative. In primis la sua città, La Spezia, che negli anni è diventata il suo campionario di umanità da esplorare e studiare, soprattutto attraverso la fotografia. Probabilmente senza aver vissuto nello spezzino Benassi non avrebbe conosciuto il suo maestro, Sergio Fregoso, un importante fotografo locale. “In questa mostra c’è molto di lui. Lui è la mia matrice a livello di sguardi. Per un periodo della mia vita ho vissuto dentro le immagini, quotidianamente, e lui era un grande maestro, insegnava a vivere e a guardare il mondo”.
MEMORIE E NOSTALGIE SECONDO BENASSI
Nei giorni di preparazione della mostra è venuta mancare la madre di Benassi, e come spiega il curatore Antonio Grulli: “La madre di Jacopo è presente e riesce a diventare la chiave di volta della mostra”. L’artista crea un’installazione di più immagini incorniciate che si sovrappongono al dipinto di un Cristo morto; il primo mai realizzato da Benassi, che è rimasto appeso per anni sopra il letto della madre. Col tempo, questa tela ha lasciato l’impronta sul muro e Benassi ha voluto fotografare questa visione, come ha voluto fermare l’immagine del comodino con i segni delle bruciature di sigaretta appoggiate negli anni.
LA MOSTRA DI BENASSI A LA SPEZIA
Troviamo un Benassi inedito che, esplorando la matrice della fotografia e dell’immagine, arriva alla pittura. Copiando le tele del pittore spezzino Agostino Fossati, con la volontà di esplorare le origini di una Spezia selvaggia e incontaminata, l’artista sottrae inconsciamente ogni presenza umana dai paesaggi. Arriva così alla matrice per eccellenza, la natura, con la volontà e forse l’urgenza di cancellare quasi ogni cosa, anche la presenza dell’essere umano, perché “resettare tutto significa anche rinascere”, spiega. “Una cosa che mi ha sconvolto è che la natura va avanti, anche se scoppia la bomba atomica. Questa cosa l’ho scoperta visitando l’arsenale di Spezia, la ‘matrice’ della città. Ho visto un posto abbandonato, dove non succede quasi più niente. Ma l’erba usciva da queste ardesie con una potenza pazzesca. E in realtà l’arsenale se lo sta riprendendo la natura, se nessuno ci va per vent’anni, ritornerà una palude, ritornerà quello che era. Se l’uomo non fa niente la natura andrà avanti e la natura vince, sempre”.
BENASSI UN ARTISTA ROMANTICO
In mostra non ci sono occhi, volti o corpi, non c’è la figura dell’uomo, ma ci troviamo davanti a immagini di segni e tracce di umanità. Opere estremamente vive, colme di nostalgie e testimonianze, raccontano storie e memorie intime. Questo nuovo progetto di Jacopo Benassi detta un momento di passaggio nel suo percorso artistico, in grado di raccontare l’evoluzione delle sue declinazioni artistiche eclettiche e una poetica nuova, emotiva e in stretto legame con le sue radici. “Sono considerato un fotografo spregiudicato e punk, questa mostra invece è di un romanticismo incredibile”. Ed è sorprendentemente così.
– Marlene L. Müller
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