Le Martellate di Marcello Maloberti in Triennale a Milano
La mostra di Marcello Maloberti alla Triennale di Milano riunisce trent’anni di frasi iconiche, dal sapore ironico e poetico. Accompagnate dalla voce di Lydia Mancinelli
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Ogni parola un chiodo, ogni grumo di lettere un passo in territori (e sentimenti) inesplorati. Marcello Maloberti (Codogno, 1966) è arrivato in Triennale, a Milano, e qui resterà fino al 25 aprile con le sue Martellate, le frasi spiazzanti e poetiche che hanno contraddistinto parte della sua carriera e che compongono, una alla volta, un ritratto generazionale, ironico e assolutamente consapevole del qui e ora. “Sono quasi aforismi, slogan poetici e filosofici. Frammenti. È un po’ come la lettura che si fa ora, nevrotica e isterica, sui nuovi mezzi di comunicazione, in metropolitana, per strada: abbiamo queste letture sintetiche, e poi ognuno si crea la sua narrazione”, racconta ad Artribune Maloberti. Inevitabilmente, parte della costruzione del senso di queste frasi spetta al pubblico: “Non posso prevedere come reagirà, posso solo immaginare cosa pensa: ognuno farà un proprio viaggio nella poesia. Dopotutto, L’ESTASI NON SI PROGETTA”, dice, ricostruendo una delle Martellate in mostra mentre parla.
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Marcello Maloberti. Martellate. Exhibition view at La Triennale di Milano, 2022. Photo Andrea Rossetti
MARTELLATE, LA MOSTRA IMMERSIVA DI MALOBERTI
Combinando e potenziando le precedenti esposizioni delle Martellate, come il Malincuore di Procida o le mostre in galleria da Raffaella Cortese, il percorso allestito nell’Impluvium prende possesso dello spazio con una nuova tridimensionalità immersiva. Peculiarità dell’esposizione è, infatti, l’accostamento delle frasi a un sonoro che riproduce il vinile realizzato dall’artista con XING (Bologna), LYDIA MANCINELLI LEGGE MARCELLO MALOBERTI. MARTELLATE SCRITTI FIGHI 1990-2020, che recupera gli scritti dall’omonimo volume edito nel 2019 da Flash Art. “La scrittura è già nell’invisibile voce ‒ lo dico in ‘A VOCE SCRITTA’: tutte queste frasi, prima di averle scritte, le ho dette. Questa è al centro della stanza anche per collegarsi alla voce di Lydia, che ho voluto perché vicina a Carmelo Bene: volevo portare qui il suo teatro, per essere classico ed elevare a nobiltà le parole quotidiane che uso”.
La curatela di Damiano Gullì è graficamente, artisticamente e filologicamente rispettosa della parola di Maloberti, che si inserisce alla perfezione sotto la dedica di pietra che incornicia l’Impluvium e trasforma lo spazio in una specie di tempio ‘del detto e dello scritto’: “Le frasi, tutte allineate in un ideale orizzonte, sono slegate, ma si incrociano calvinianamente, creano mondi e ritmi diversi e sincopati”, spiega il curatore. Anche la voce di Lydia è discontinua, ora lenta e robotica, ora rapida e quasi divertita, mentre elenca MARCELLO, PORCELLO, MARCELLO, MARTELLO…
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LE MARTELLATE DI MARCELLO MALOBERTI ALLA TRIENNALE DI MILANO
“Il mio lavoro nasce dai primi titoli che ho scritto, come ‘LA VERTIGINE DELLA SIGNORA EMILIA’. È come se fossero titoli di libri vuoti, di cui rimane solo la copertina”, racconta l’artista. L’impressione è quella di trovarsi allora in una libreria bicroma con un grande vuoto nel mezzo, circondati da pure frasi scritte a pennarello e sorrette, in tensione, da pinze, creando l’impressione dei bassorilievi: “Mi piaceva fare una mostra che non si esibiva ma che diceva, questo è un lavoro sul dire, più che sul fare”, dice Maloberti, che indirizza molti di questi statement al sistema dell’arte: “Sono un po’ stanco dell’arte che fa finta di fare design e moda: sono annoiato, è più potente di così”. La sua arte punta quindi a staccarsi dall’ossessione del bello, del produttivo, restituendo “un senso di vertigine, di problematico: anche se non abbiamo le rovine fisiche, viviamo un momento di rovina. Dobbiamo rifondare e far splendere il mondo, è la missione dell’arte, soprattutto perché VIVIAMO IN UNA APOCALISSE CONTINUA E RIMANDATA. L’arte ha preso troppe aspirine, troppi calmanti, è anestetizzata”, racconta, sostenendo che ci sono pochi artisti e molti creativi: “Le opere che vediamo non potremmo forse immaginarle nelle vetrine di Prada? La contaminazione è bella, ma qui l’arte è stata proprio mangiata. Poi, sono il primo a mettersi in discussione: è difficile fare arte. Però questo iper-formalismo mi rende triste. La mostra è sostanzialmente un allarme: DOBBIAMO USCIRE DALLA COMFORT ZONE. Dobbiamo poetare con le immagini e le parole: ripartiamo dalla poesia, se qualcosa da dire è rimasto”, chiosa Maloberti.
‒ Giulia Giaume
https://www.marcellomaloberti.com/
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