Le Martellate di Marcello Maloberti in Triennale a Milano
La mostra di Marcello Maloberti alla Triennale di Milano riunisce trent’anni di frasi iconiche, dal sapore ironico e poetico. Accompagnate dalla voce di Lydia Mancinelli
Ogni parola un chiodo, ogni grumo di lettere un passo in territori (e sentimenti) inesplorati. Marcello Maloberti (Codogno, 1966) è arrivato in Triennale, a Milano, e qui resterà fino al 25 aprile con le sue Martellate, le frasi spiazzanti e poetiche che hanno contraddistinto parte della sua carriera e che compongono, una alla volta, un ritratto generazionale, ironico e assolutamente consapevole del qui e ora. “Sono quasi aforismi, slogan poetici e filosofici. Frammenti. È un po’ come la lettura che si fa ora, nevrotica e isterica, sui nuovi mezzi di comunicazione, in metropolitana, per strada: abbiamo queste letture sintetiche, e poi ognuno si crea la sua narrazione”, racconta ad Artribune Maloberti. Inevitabilmente, parte della costruzione del senso di queste frasi spetta al pubblico: “Non posso prevedere come reagirà, posso solo immaginare cosa pensa: ognuno farà un proprio viaggio nella poesia. Dopotutto, L’ESTASI NON SI PROGETTA”, dice, ricostruendo una delle Martellate in mostra mentre parla.
MARTELLATE, LA MOSTRA IMMERSIVA DI MALOBERTI
Combinando e potenziando le precedenti esposizioni delle Martellate, come il Malincuore di Procida o le mostre in galleria da Raffaella Cortese, il percorso allestito nell’Impluvium prende possesso dello spazio con una nuova tridimensionalità immersiva. Peculiarità dell’esposizione è, infatti, l’accostamento delle frasi a un sonoro che riproduce il vinile realizzato dall’artista con XING (Bologna), LYDIA MANCINELLI LEGGE MARCELLO MALOBERTI. MARTELLATE SCRITTI FIGHI 1990-2020, che recupera gli scritti dall’omonimo volume edito nel 2019 da Flash Art. “La scrittura è già nell’invisibile voce ‒ lo dico in ‘A VOCE SCRITTA’: tutte queste frasi, prima di averle scritte, le ho dette. Questa è al centro della stanza anche per collegarsi alla voce di Lydia, che ho voluto perché vicina a Carmelo Bene: volevo portare qui il suo teatro, per essere classico ed elevare a nobiltà le parole quotidiane che uso”.
La curatela di Damiano Gullì è graficamente, artisticamente e filologicamente rispettosa della parola di Maloberti, che si inserisce alla perfezione sotto la dedica di pietra che incornicia l’Impluvium e trasforma lo spazio in una specie di tempio ‘del detto e dello scritto’: “Le frasi, tutte allineate in un ideale orizzonte, sono slegate, ma si incrociano calvinianamente, creano mondi e ritmi diversi e sincopati”, spiega il curatore. Anche la voce di Lydia è discontinua, ora lenta e robotica, ora rapida e quasi divertita, mentre elenca MARCELLO, PORCELLO, MARCELLO, MARTELLO…
LE MARTELLATE DI MARCELLO MALOBERTI ALLA TRIENNALE DI MILANO
“Il mio lavoro nasce dai primi titoli che ho scritto, come ‘LA VERTIGINE DELLA SIGNORA EMILIA’. È come se fossero titoli di libri vuoti, di cui rimane solo la copertina”, racconta l’artista. L’impressione è quella di trovarsi allora in una libreria bicroma con un grande vuoto nel mezzo, circondati da pure frasi scritte a pennarello e sorrette, in tensione, da pinze, creando l’impressione dei bassorilievi: “Mi piaceva fare una mostra che non si esibiva ma che diceva, questo è un lavoro sul dire, più che sul fare”, dice Maloberti, che indirizza molti di questi statement al sistema dell’arte: “Sono un po’ stanco dell’arte che fa finta di fare design e moda: sono annoiato, è più potente di così”. La sua arte punta quindi a staccarsi dall’ossessione del bello, del produttivo, restituendo “un senso di vertigine, di problematico: anche se non abbiamo le rovine fisiche, viviamo un momento di rovina. Dobbiamo rifondare e far splendere il mondo, è la missione dell’arte, soprattutto perché VIVIAMO IN UNA APOCALISSE CONTINUA E RIMANDATA. L’arte ha preso troppe aspirine, troppi calmanti, è anestetizzata”, racconta, sostenendo che ci sono pochi artisti e molti creativi: “Le opere che vediamo non potremmo forse immaginarle nelle vetrine di Prada? La contaminazione è bella, ma qui l’arte è stata proprio mangiata. Poi, sono il primo a mettersi in discussione: è difficile fare arte. Però questo iper-formalismo mi rende triste. La mostra è sostanzialmente un allarme: DOBBIAMO USCIRE DALLA COMFORT ZONE. Dobbiamo poetare con le immagini e le parole: ripartiamo dalla poesia, se qualcosa da dire è rimasto”, chiosa Maloberti.
‒ Giulia Giaume
https://www.marcellomaloberti.com/
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