“Cosa non fare”. L’opera di Sislej Xhafa paradigma di un’altra Sardegna
La dimensione psichica ed esistenziale dei luoghi, le ispirazioni, le possibilità, la cittadinanza culturale, lo sviluppo. Lingue e sintassi, storie e progetti nazionali e internazionali per capire cosa non fare – un gioco di parole, uno statement, un’opera site specific di Sislej Xhafa
Ha rovesciato il postulato più famoso del ‘900 per non indulgere in retoriche mainstream. Meglio chiedersi cosa non fare, meglio cercare da rabdomanti le matrici che indicano non quello che si ha ma quello che si è. Sislej Xhafa ha accolto l’invito di un luogo inattuale e quindi contemporaneo, nella penisola del Sinis in Sardegna, terra anfibia per eccellenza, dove la permanenza ha le sembianze delle reminiscenze fenicie, e la natura è sospesa tra un qui e un Altrove indefinibili, su un confine sfumato tra archeologia, creature terrestri marine e celesti.
COSA NON FARE DI SISLEJ XHAFA IN SARDEGNA
Così ha costruito, con la comunità di San Vero Milis, un progetto che unisce linguaggi, mappe, geografie concettuali, visive e spirituali, in una itineranza tra stalle e peschiere, chiese e spiagge, acacie asfodeli e pensioni a mare, agrumeti eucalipti e carciofi, dentro una radicalità che ricorda la sua terra d’origine, Peja, Kosovo. Paesaggio d’acqua qui, flat, che dialoga idealmente con le montagne vertiginose di Maria Lai a Ulassai, tanto evocata. Luigi Tedeschi, è il sindaco solido e visionario che ha chiesto a Sislej Xhafa cosa significhi oggi, in quel contesto, creare condizioni di crescita culturale sociale ed economica con atteggiamento bottom up, inclusivo e rispettoso dell’autenticità antropologica e storica del luogo. Come essere centro nel margine, con quali pratiche e soggetti? Cosa non fare è un’opera in forma di comunità, il risultato della relazione tra persone e luoghi che si sono riconosciuti – dall’Albania al Kosovo, dagli Stati Uniti all’Europa alla Sardegna – guidati da tematismi misteriosi, paradossi e interrogazioni, ossimori come dispositivi della riflessione. Per farla ha scelto la voce e il respiro, la parola, l’edificazione orale. Indesiderata grazia – può la grazia, la più umana tra le cose desiderate, essere indesiderata? – sessione ospitata in una stalla, tra vento muggiti e testimonianze di un corpo vivente irriducibile, che palpita e chiede grazia. Deserto e centralità, proprio dove il percepito fisico delle ere geologiche connette epoche, popoli e reminiscenze, in una peschiera dove l’incanto commuove e sgomenta per tanta forza gentile.
DA SISLEJ XHAFA A EDOARDO MALAGIGI
Creatività e resistenza – poli di uno stesso magnete che si attraggono mentre si respingono, nelle strade della comunità tra luoghi che celebrano il reperto e la cura nell’attesa di un nuovo racconto. Nei luoghi di un contesto così radicale, la regia performativa di Sislej Xhafa è la tessitura che trattiene provenienze, esperienze e sguardi; è il valore di una comunità che ha fame di futuro e sceglie la cultura e l’educazione come forma della nidificazione, dentro lo spirito del tempo. Un tempo che lascia e rilascia – come nidificano gli uccelli marini di quegli stagni, migranti eppure stanziali. Ma questa natura è dono e soglia, realtà aumentata per densità e stratificazioni di culture e civiltà che risuonano nei segni, nelle coabitazioni, nell’asciuttezza del paesaggio. È dunque un lab con i cortocircuiti e le fosforescenze di questo tempo, fatto di immanenze e distanze siderali. Una metafora, come ricorda Schillellè, il muggine di rifiuti di Edoardo Malagigi, una scultura cangiante che da lontano seduce per la bellezza della sua forma, e da vicino ricorda le responsabilità di una modello di sviluppo, di una visione del mondo.
–Cristiana Colli
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