Filippo de Pisis, Giulio Paolini e Luca Vitone al Museo Novecento di Firenze
Tre mostre interconnesse creano un dialogo fra altrettanti artisti nella cornice del Museo Novecento di Firenze. Un incontro fra generazioni diverse innesca una catena di suggestivi rimandi
Tre artisti di generazioni diverse, uniti da un pensiero sensibile e metafisico dell’opera d’arte, che evoca più che narrare. Il progetto del Museo Novecento di Firenze, diretto da Sergio Risaliti, mette in dialogo Filippo de Pisis, Giulio Paolini e Luca Vitone, in una sorta di conversazione a tre voci giocata sul silenzio più che sulla parola, in un percorso tra immagine, concetto e visione. “Tre mostre personali, separate ma interconnesse, che danno vita a un gioco di specchi e di confronti tematici”, spiega Risaliti, regista e attore di una proposta museale lucida e sorprendente.
‒ Ludovico Pratesi
FILIPPO DE PISIS E L’ILLUSIONE DELLA SUPERFICIALITÀ
Introdotta dall’installazione Genova nel bosco di Luca Vitone, autore anche della carta da parati Alter-Ego (Coincidenze), la mostra dedicata al pittore ferrarese Filippo de Pisis (Ferrara, 1896 – Milano, 1956), curata da Lucia Mannini e Sergio Risaliti, rilegge la sua vasta produzione attraverso un taglio che privilegia alcuni aspetti del suo lavoro, come l’incontro con i protagonisti della Metafisica (de Chirico, Savinio, Carrà) e con Tristan Tzara, nume tutelare del Dadaismo.
Il titolo della mostra al Museo Novecento di Firenze, L’illusione della superficialità, riprende la frase scritta da Elio Vittorini in occasione di una personale del pittore a Firenze nel 1933, e indica la volontà di analizzare il pensiero dell’artista evidenziandone gli aspetti più intimi, come una sorta di viaggio all’interno di una pittura costruita spesso con l’ausilio di dispositivi concettuali precisi, come il “quadro nel quadro”, l’evocazione degli strumenti del mestiere e la combinazione di elementi apparentemente incongrui, come in una sorta di rebus enigmistico. “Le mie opere si ricollegano al travaglio caratteristico della nostra epoca”, ha scritto de Pisis, rappresentato in mostra da alcuni capolavori come Natura morta occidentale (1919), Natura morta (1926) o Natura morta con “Il capriccio di Goya” (1925). Particolarmente riuscita la sezione Eros, che abbina opere a soggetto erotico con una selezione di immagini fotografiche, legate alla vita dell’artista. Una lettura inedita e originale di un maestro del Novecento, posto in dialogo con due artisti contemporanei in maniera puntuale e calzante.
GIULIO PAOLINI E IL PRESENTE
Un illuminante e inedito percorso nell’ultima produzione di Giulio Paolini (Genova, 1940), attraverso tredici opere concepite per gli spazi rinascimentali del Museo Novecento, legate ai tipici temi paoliniani: il rapporto dell’artista con l’opera d’arte e l’eternità dell’immagine nel fluire del tempo. Il titolo della mostra, curata da Bettina Della Casa e Sergio Risaliti, è tratto da una frase contenuta in una lettera scritta da Rainer Maria Rilke a Lou Andreas Salomè nel 1922, e fa riferimento all’opera omonima, collocata al centro della seconda sala, come perno ideale dell’intera esposizione. Si tratta dell’evocazione di un atelier d’artista, con un dipinto ottocentesco collocato su un cavalletto, l’immagine dello studio di Paolini stampata su un tessuto che dalla tela arriva a terra e una scrivania con gli strumenti da lavoro del pittore. Nella prima sala il fulcro è l’opera Memento mori (2022), incentrata sul dialogo fra un volto tratto dalla fotografia del dipinto di Jusepe de Ribera San Gennaro esce illeso dalla fornace (1646) e alcuni calchi anatomici in gesso bianco all’interno di una teca trasparente. Particolarmente suggestivo l’intervento nella Cappella, dove l’opera Interno metafisico (2022) presenta un calco dell’Hermes di Prassitele e una sfera armillare, a indicare la dimensione metafisica dell’arte, indagata da de Chirico. In un’altra sala del museo Paolini presenta l’installazione La pittura abbandonata (1985), composta dalla proiezione di uno scorcio del lago di Nemi, trasformato in tavolozza, con l’immagine capovolta dell’Arianna addormentata (II sec. d.C.).
LUCA VITONE FACCIA A FACCIA CON DE PISIS E PAOLINI
Punto di congiunzione tra le opere dei due maestri, la presenza di quattro opere di Luca Vitone (Genova, 1964) costituisce una sorta di punteggiatura multisensoriale, che unisce come una trama simbolica e concettuale i diversi ambienti del museo. Stanze (Studio Giulio Paolini, Torino) è un grande acquarello realizzato con la polvere depositata nello studio di Paolini e recuperata da Vitone, in una sorta di omaggio alla impalpabile presenza del tempo nello spazio. Il Gladiolo fulminato (Omaggio a Filippo de Pisis) è una scultura olfattiva dedicata all’omonima tela di de Pisis, realizzata in collaborazione con Maria Candida Gentile. Le altre due opere sono esposte nella mostra di de Pisis, come una sorta di introduzione al mondo dell’artista ferrarese: la prima è l’installazione Genova nel bosco (erbario), collocata nella sala d’ingresso, mentre la seconda, Alter-ego (Coincidenze), è la carta da parati che avvolge l’intero ambiente espositivo, e rappresenta lo studio dell’artista, tra presenza reale e simulacro. Così il dialogo che Vitone instaura con gli altri due artisti è di natura intima e poetica, tutto giocato sul registro di una raffinata e rarefatta sensibilità, che oscilla tra memoria collettiva e personale.
“Mi ha fatto piacere scoprire un Filippo de Pisis che non conoscevo, attraverso i suoi scritti e i suoi romanzi, che nona avevo mai letto”, ha dichiarato l’artista, che ha svolto in maniera perfetta il suo ruolo di attivatore di un universo di immagini scaturite da visioni diverse ma ugualmente intense.
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