Intervista a Jago, l’artista che scolpendo il marmo è diventato fenomeno mediatico
Ambizioso e lungimirante, Jago può convincere o meno come artista, ma non si può negare sia diventato un vero e proprio fenomeno. Guarda alle icone del passato e le scolpisce in marmo rileggendole con gli occhi dell'attualità. L'intervista
Si svolge fino al 3 luglio 2022 la mostra dedicata al giovane scultore Jago, curata a Palazzo Bonaparte da Maria Teresa Benedetti. Jago ha follower in tutto il mondo, soprattutto negli Emirati Arabi, e con la sua grande abilità tecnica nello scolpire il marmo è diventato un fenomeno della comunicazione. Con 697mila seguaci su Instagram – Damien Hirst ne ha 608mila, Jeff Koons 482mila -, Jago riesce ad attrarre su di sé l’attenzione, supportato nel suo gruppo di lavoro dal project manager Tommaso Zijno e dalla brand manager e compagna Michela Ruggieri.
Con la mostra a Palazzo Bonaparte hai raggiunto un traguardo importante, cosa accadrà dopo?
Quello che accade in questo momento è fisiologico perché sono accompagnato da un’ambizione genuina e circondato da persone che condividono la mia stessa mentalità e voglia di sperimentare. È come un albero che nasce perché c’è terreno fertile. Jago non è diverso rispetto allo Jago di 12 anni fa. È entusiasta allo stesso modo. Magari questa mostra potrebbe esprimersi altrove, arricchendosi delle sculture che mano, mano sto eseguendo.
Come Aiace e Cassandra?
La sto realizzando per Napoli, nel laboratorio fuori Roma di Fercam. È un’opera di 3 metri in marmo di Carrara, è un’avventura: la sfida è anche cercare di capire dove collocarla.
Perché questo soggetto?
È un’immagine che non avevo mai visto resa in scultura, nasce da motivi personali che non posso raccontare, perché significherebbe svilirla, c’è un’intimità che non va svelata. Sento la necessità di ascoltare i punti di vista di chi fruirà la scultura. A Napoli una signora dello Sri Lanka è entrata in studio ha toccato la Pietà, si è baciata la mano, ha fatto una preghiera e se n’è andata. La mia opera non nasceva con un intento religioso ma le è stato attribuito quel significato; è stata una lezione fondamentale: evitare di spiegare ciò che c’è a monte rende l’immagine di tutti, ognuno vi partecipa in modo diverso. Il mio lavoro è costruire un’immagine e darle tutt’al più un titolo, senza rischiare di tradire il messaggio.
L’invasione dell’Ucraina ha fatto crollare le nostre certezze, quali sono le tue considerazioni?
Anni fa le immagini terribili della guerra in Siria hanno fatto breccia, si sono sedimentate dentro la nostra coscienza come virus. La Pietà si è colorata a posteriori della tensione di quel conflitto. Ora, partecipando alla sofferenza del momento, ho interpretato in maniera diversa l’opera Excalibur che ho realizzato molti anni fa: era frutto di un condizionamento precedente, derivava da immagini immagazzinate in passato.
Vorresti creare un’opera che prenda posizione?
Non voglio forzarmi di fare qualcosa artisticamente per denunciare la situazione. Ho condiviso un video sui canali social, utilizzando delle sequenze di immagini con Excalibur: prima afferravo il Kalashnikov di pietra per poi lasciarlo. Tra queste due azioni ho inserito le immagini della guerra in Ucraina; il momento in cui prendi un’arma fai una scelta. Se domani decidessimo di abbandonare tutte le pistole nessuno morirebbe, eppure c’è sempre qualcuno a sparare. Con le immagini possiamo creare degli sconvolgimenti, scatenare dinamiche politiche in maniera più efficace rispetto a migliaia di comizi o proteste in piazza. Basta un’immagine per cambiare la rotta. Questo è il valore dell’arte: riesce ad essere rivoluzionaria ed istantanea.
Perché hai inserito una nuova firma nelle ultime opere?
Nella Pietà ho inserito un sassolino, è un simbolo che collega le mie ultime opere: Aiace e Cassandra è parte di un discorso insieme alla Pietà e al Figlio Velato… sono consequenziali e stanno raccontando una storia. Il sasso le pone in relazione. Quel dettaglio in apparenza insignificante diviene essenziale, supera il rigore e la mania di perfezionismo nelle mie sculture. Il David condividerà questo segno.
Dimmi di più…
Il bozzetto è nello studio che ho ricavato a Palazzo Bonaparte, è un David donna di cui realizzerò prima il modello di un metro e 70 poi la scultura di 5 metri.
Ti vai ad immettere in un solco rischioso, essendo un soggetto affrontato dai grandi scultori del passato…
Bernini non ha desistito dal realizzare il David perché lo aveva già scolpito Michelangelo, né Buonarroti si è fermato perché il soggetto era stato già rappresentato da Donatello.
Scegli soggetti che rimandano al passato, ad una mitologia antichissima. Sono metafore con cui esprimi temi attuali. Perché non cerchi la novità?
Questi soggetti sono contemporanei, nella misura in cui il mio rapporto con loro si instaura ora. Percepisco la Venere come una donna anziana – la venustà come stato dell’essere -, perché credo che se una donna incarna Venere da giovane rimanga Venere anche col passare degli anni.
Sono soggetti che fanno parte del nostro retaggio culturale…
È più facile veicolare messaggi attraverso immagini familiari. Nel linguaggio verbale usiamo parole che gli altri già conoscono, la novità è nel modo in cui le combiniamo. In fondo, per le immagini e per la musica funziona allo stesso modo. Le note sono 8 ma il modo in cui creiamo l’armonia fa la differenza. Non reputo i miei soggetti ripetizioni ma prospettive diverse. Sono argomenti che non sono esauriti, si potrebbe farne altre 400 versioni.
Sei conscio di piacere al grande pubblico. Eppure, a volte, non convinci gli addetti al settore, cos’è che non funziona?
Quando suonavo tutti i giorni non riuscivo più ad apprezzare la musica come tale, il mio orecchio isolava la batteria, il basso, la chitarra. Quando ho smesso di suonare seriamente riuscivo a godermi la musica. Quando alcune persone mi dicono non capisco nulla di arte ma le tue opere mi trasmettono emozioni, sono felice. D’altronde sono le stesse persone che vengono snobbate a fare i sold out ai musei. Poi chi si intende d’arte? Basta una laurea, un percorso di vita?
L’addetto ai lavori vede più mostre, conosce più artisti, viaggia e si informa sul campo… è lì la disparità.
Un giardiniere può conoscere tutte le piante in un giardino? Ho a che fare sia con lo specialista dell’arte sia con il meccanico o il medico. Entrambi esprimono un’opinione. L’addetto ai lavori viaggia, vede molte mostre ma, alla fine dei conti, vince il gusto personale. Anche tra addetti ai lavori il parere è spesso opposto. L’esperto d’arte stimola sinergie, dialogo, crescita. Anche con chi è esterno al mondo dell’arte ho occasione di confronto e crescita. Certamente, se passeggio in un giardino con un botanico può dirmi quant’acqua serve per innaffiare una pianta, quale frutta è commestibile, quale bacca è velenosa.
Quindi qual è il motivo di questa ritrosia?
Il gusto personale. C’è chi riesce a distaccarsene e fare un’analisi obiettiva, chi non ci riesce.
Quindi pensi sia solo una questione di gusti?
No, ma sicuramente il gusto influisce. Mi capita di leggere critiche che si rivelano finestre su panorami che mi mancano, altre volte c’è solo cattiveria e acredine. Rivendico però la libertà dell’altro di esprimere la propria opinione, in tal modo posso fare esercizio su me stesso.
Parliamo del lavoro di comunicazione sui social. Sfrutti la complessità dell’operare scultoreo a tuo vantaggio, mostrandoti con “le mani in pasta”… riesci a ponderare la lentezza tecnica con il lavoro dello storytelling, com’è nata quest’idea?
Per necessità di sussistenza, non volevo rinunciare alle mie passioni. Ho avuto l’intuizione che i social potessero essere un valido veicolo. Appena nato, Instagram era visto come un gioco, veniva boicottato. Ora tutte le gallerie, le fondazioni, i musei hanno un profilo social. Ho pensato di condividere le mie opere invece di postare le mie foto personali. Allora nessuno credeva in ciò che facevo; il mio stile espressivo non rispondeva all’arte che contava.
Come hai trovato qualcuno che credesse in te?
Credendo in me stesso, online c’era la mia galleria, ero io a gestirla. Dovevo occuparmi della comunicazione: in un attimo si entra nelle tasche delle persone, non per prendere qualcosa ma per lasciare contenuti.
Ti chiedevano se avessi una galleria a rappresentarti?
Si, rispondevo “nessuna” e la cosa faceva ridere. All’Accademia tutti avevano l’ambizione di trovare chi li rappresentasse. Mi veniva detto con ciò che fai non troverai alcun supporto. Non mi sono arreso, dalle fotografie sono passato al video per raccontare il processo: ho diviso in fasi la creazione, narrandone ogni singolo momento. Così ho reso gli altri partecipi della gestazione dell’opera. E lì che subentra l’innamoramento. Inoltre, provo piacere nel fare: se condivido il viaggio, condivido il pacere. Se sai quanto è difficile fare un capitello lo guardi con occhi differenti, se osservi tua nonna impastare uova e farina per preparare le pappardelle le mangi con più gusto: conosci la fatica che c’è dietro. È umano, ora è parte del mio metodo…
Mi parli della tua idea di art hotel?
Vorrei mettere a disposizione l’arte in uno spazio d’accoglienza dove l’esperienza del cliente/fruitore possa coinvolgere tutti i sensi. Fare un marchio che parta dal mezzo artistico. Intorno ad un monumento si può costruire una città, vorrei creare un’opera che sviluppi intorno a sé un affaccio, non una scultura site specific per un luogo. In tal modo si ribalta la prospettiva: l’arte diventa il perno che fa muovere il resto.
– Giorgia Basili
JAGO. The exhibition
Palazzo Bonaparte
12 marzo – 3 luglio 2022
https://jago.art
https://www.instagram.com/jago.artist
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