Mettersi nei panni di Peter Pan. La mostra della Fondation Valmont a Venezia
Proseguono le mostre a tema fiabesco negli spazi veneziani della Fondation Valmont. Stavolta gli artisti riuniti a Palazzo Bonvicini si misurano con l’avventura di Peter Pan
Come ogni favola che si rispetti, anche quella di Peter Pan è attraversata da una sequenza di inquietudini, che chiamano in causa i luoghi in cui affondano le radici dell’essere umano. In particolare, il personaggio elaborato da James Matthew Barrie all’inizio del secolo scorso getta una luce implacabile sulla ritrosia ad accettare lo scorrere del tempo e l’avanzare dell’età – non solo quella adulta –, ma anche sulla paura di un abbandono che può assumere sembianze diverse e mutevoli.
PETER PAN TRA FIABA E REALTÀ
A prendere spunto dai vari capitoli dell’opera di Barrie sono gli artisti in mostra nel veneziano Palazzo Bonvicini, avamposto lagunare della Fondation Valmont. Già protagonisti della mostra precedente – Alice in Doomedland, inscritta nel medesimo solco fiabesco ‒, Stephanie Blake, Didier Guillon (presidente del Gruppo Valmont, stavolta coadiuvato dalla figlia Valentine), Silvano Rubino e Isao si sono misurati con le atmosfere ambivalenti e spesso contraddittorie che accolgono le vicende di Peter Pan e anche con la richiesta di utilizzare esclusivamente il linguaggio dell’immagine in movimento.
GLI ARTISTI IN MOSTRA A PALAZZO BONVICINI A VENEZIA
L’illustratrice e autrice di libri per bambini Stephanie Blake ricorre per la prima volta al video confezionando una trilogia di corti girati con il suo smartphone e dando voce ai risvolti meno divertenti del desiderio di evasione che guida il volo di Peter Pan lontano dalla sua casa, verso la libertà di un fanciullo cristallizzato nella sua stessa giovinezza. La medesima dicotomia fra spensieratezza e turbamento innerva l’opera a quattro mani di Didier e Valentine Guillon, i quali alternano su tre schermi immagini in bianco e nero della guerra in Vietnam e coloratissimi primi piani di fiori che sbocciano immortalati nella cornice di Hydra, a riprova che l’avvicendarsi degli opposti non risparmia nemmeno l’Isola che non c’è. Come sottolinea lo stesso Guillon, “le immagini di guerra erano una rappresentazione diretta della mancanza di speranza nella nostra contemporaneità, che tuttavia coesiste con la stupefacente e universale bellezza della Natura. Hydra in estate è ricca di colori vivaci: le buganvillee porpora avvolgono le pareti delle case, solitamente di un bianco abbagliante. La traduzione nel contesto storico è avvenuta in modo naturale: Flower Power era uno slogan usato tra la fine degli Anni Sessanta e l’inizio degli Anni Settanta come simbolo di resistenza passiva e nonviolenza contro la guerra del Vietnam”.
SILVANO RUBINO, ISAO E GAYLE CHONG KWAN
Di poli complementari alla base dell’esistenza umana si occupa anche Silvano Rubino, autore di Transiti. Eros, Thanatos, Chronos. Amore, morte e tempo dettano un ritmo non ignorabile, nemmeno se si vive nell’eterno e artificioso presente di Peter Pan, intento a rincorrere un ordine temporale inesistente.
Isao, infine, riflette sull’ombra come peculiarità identitaria di ciascun essere vivente – non a caso Peter Pan la perde e ne è sprovvisto. Nell’installazione Shadows and Forms l’artista catalano mette in scena un teatro di ombre cinesi per dare sostanza alle ombre dei vari personaggi emersi dalla fantasia di Barrie, lasciando negli occhi un’inquietudine appena accennata, simile allo strascico delle favole una volta riposto il libro in cui sono custodite.
Chiude il cerchio della narrazione espositiva Gayle Chong Kwan, ospite d’onore con Atlantis: l’installazione realizzata a partire dagli imballaggi plastici usati dagli abitanti di Londra e restituiti dall’artista a una nuova vita. Il parallelismo fra Atlantide, l’Isola che non c’è e Venezia è lampante, cambiano “solo” il grado e la ferocia della realtà.
‒ Arianna Testino
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