Dipingere coi funghi. Carlo Steiner a Torino
Dipinti non figurativi, compressi fra lastre di vetro. Sono circa trenta, realizzati dal 2018 al 2021. E sono fatti con le spore dei funghi. Si presenta così la ricerca decennale di Carlo Steiner, in mostra da Gagliardi e Domke a Torino
È il 29 gennaio del 1959 quando John Cage, che si trova a Milano per lavorare allo Studio di Fonologia della RAI con Luciano Berio, fa la sua prima apparizione al quiz Lascia o raddoppia? condotto da Mike Bongiorno. Lo fa in qualità di compositore, ma come concorrente partecipa in quanto micologo. Tornerà altre quattro volte, vincendo il montepremi di cinque milioni di lire.
È il 29 settembre del 2015 quando l’antropologa Anna L. Tsing pubblica The Mushroom at the End of the World, un libro che, partendo dal fungo matsutake, costruisce un impianto interpretativo della nostra contemporaneità e dei suoi limiti la cui prolificità non accenna a diminuire.
Funghi e altre creature aliene, restìe ad appartenere a uno dei tre “regni” nei quali convenzionalmente si suddivide la presenza sulla Terra, hanno da sempre affascinato il mondo, e il mondo dell’arte in particolare. Ultima in ordine di tempo e di vicinanza geografica, la mostra Metaspore di Annicka Yi da Pirelli HangarBicocca a Milano.
LE SPORE FUNGINE DI CARLO STEINER A TORINO
In questa scia si inserisce atipicamente il lavoro di Carlo Steiner, ternano classe 1957, che nella galleria Gagliardi e Domke di Torino espone una trentina di opere realizzate fra il 2018 e il 2021. Sono lavori a parete, che di primo acchito collocheremmo nel settore della pittura. L’elemento d’interesse risiede innanzitutto nella tipologia del pigmento: le spore fungine. Sono dieci anni che Steiner si dedica a questa ricerca. I funghi li va a raccogliere, sono selvatici, non allevati. Poi li mette in posa, come racconta egli stesso, su lastre di vetro. Dopo qualche ora, ma talvolta dopo alcuni giorni, le spore vi si depositano. E ci si immaginerebbe tutta una scala di ocra e marroni, mentre la gamma cromatica spazia dal bianco al nero, passando per dei rosa e dei viola che ma ci si aspetterebbe.
Il risultato proposto nello spazio torinese è un frammento della ricerca, l’ultimo in ordine di tempo, ma non quello finale, che probabilmente mai sarà definito tale. Perché Steiner, lo si capisce subito parlandoci, ha la stoffa del ricercatore, la curiosità che ne contraddistingue lo stimolo. E quando parla di “casualità controllata”, l’anima sorniona e bonaria di John Cage aleggia con rinnovata insistenza, ricordandone l’eredità inesausta e proficua – quella che non crea epigoni ma che sollecita sguardi fantasiosi e rigorosi insieme.
– Marco Enrico Giacomelli
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